Allarmante , ma cosa stà
succedendo?
Non so cosa stà succedendo in questi ultimi giorni , forse il troppo caldo , forse l'estate , ma così tanti delitti in questo ultimo periodo da parte di uomini lasciati mi hanno veramente lasc iato sbigottito. Io non sono un esperto ,ma credo che anche gli esperti ci capiscano poco ma sicuramente più di me. Io sono una persona semplice che si alza al mattino come tanti altri uomini ,mariti , padri di famiglia e che cerca di affrontare la vita tra tante difficoltà ma anche tra tante gioie, anzi sono molte di più le gioie , è che spesso non gli diamo il giusto peso. E queste gioie sicuramente te le danno i figli , ma molto di più la persona che hai di fianco . E non importa se è facile la battuta " se tornassi indietro non mi sposo" oppure "chi me l'ha fatto fare" . Queste sono solo battute che lasciano il tempo che trovano , perchè poi se non abbiamo la nostra metà di fianco per un giorno intero ci sentiamo già soli. Avrei tante cose da dire , tante riflessioni da fare , ma è meglio che leggiate questi due o tre articoli che vi propongo , poi magari ci torniamo sopra.
ciao dal vostro punzecchiatore.
La catena di uccisioni da parte di uomini lasciati
Disprezzo e disamore in quei delitti
.
E la donna da secoli ci perdona
Non si tratta qui degli omicidi estivi, peraltro d’"agosto", secondo la statistica e la letteratura della cronaca nera. Né ci occupiamo di casi di maniaci, che non hanno stagione, anche se certo il caldo non giova alle menti esaltabili. Ma di una impressionante sequela di delitti negli ultimi giorni, che presentano caratteristiche comuni: un uomo uccide una donna, non in una lite esplosa improvvisamente in casa o al bar, ma in un luogo preciso dove con lei si è recato. La uccide quindi con una certa premeditazione, o comunque con un piano preciso. La causa di tale delitto è il fatto di essere stato lasciato, o messo in discussione. La donna lo ha abbandonato o, probabilmente preoccupata dal suo carattere, ha proposto una "pausa di riflessione" Con questa perifrasi si definisce il disperato tentativo di fuga da una situazione coatta da parte di chi non ha la libertà di andarsene tranquillamente. Chi vive un rapporto onesto, anche se in crisi, non ha bisogno di proporre pause di riflessione. Sta già riflettendo, come il suo partner. Parla e discute. Soffre e fa soffrire, ma va avanti anche così; l’amore contempla anche la possibilità di queste situazioni di crisi. Pare che la cautela della "pausa di riflessione" non serva comunque, venga punita, come l’abbandono esplicito, con la morte. Si tratta di pochi episodi, ovviamente, ma inquietanti per le affinità che li legano. Sarei sciocco se pretendessi di poter offrire una spiegazione certa e definitiva, ma ho in tal materia sensazioni forti: la donna, che lavora come l’uomo, che come lui paga il mutuo e si sposta in automobile, di cui paga le rate e l’assicurazione, gli è, in Italia, pari, da tempo. Non da molto tempo, ma nemmeno da ieri. Poiché lavora e paga le rate anche lei, ha le sue amiche, i colleghi, i problemi di lavoro. Ciò è inevitabile. Per molti maschi italiani (dico italiani solo perché mi riferisco alla nostra realtà), questo è molto, è al limite. Bisogna digerirne l’autonomia, digerirla abbozzando. Ma la collera cresce, rancorosa. Se la donna decide anche di tagliare, di recidere, allora ha superato il limite. La si ammazza. La donna è sottomessa da sempre, nella storia nota come tale, in quasi tutte culture conosciute: il matriarcato esiste ma risale al tempo del mito, ci sono eccezioni storiche di donne libere e dominanti come i certe parti dell’attuale Nigeria fino all’avvento del colonialismo, ma sono briciole. Dalla Cina dei fasti imperiali alla Grecia, modello di arte, filosofia e metafisica, dal Medio Evo europeo alla società elisabettiana, la donna è umiliata, da Oriente a Occidente. Con differenze fondamentali: in Occidente si affranca giorno su giorno, altrove in modo diverso, nel mondo islamico vedo la situazione un po’ dura. Ma nel fondo l’aspetto maschilista del maschio (quello che lo fa prepotente, impedendogli di essere uomo) alligna e a volte, per fortuna non sempre, emerge. Hanno tirato troppo la corda, adesso decidono anche se e quando lasciarci, allora pagano. Pagano qualcosa che molti maschi non avevano accettato ab origine. Se a questa triste realtà di una parte (non dominante) del mondo e dell’essere maschile si aggiunge che in questi tristi tempi è segno di potere e ricchezza, quindi di valore, esibire il possesso di molte donne, belle e vistose (cosa che un tempo si attribuiva agli sceicchi dei rotocalchi rosa), il cerchio si chiude. Se molte donne usano la loro avvenenza per proporsi in televisione come prede, la torta riceva la sua perfetta ciliegina. E le donne, le povere donne, continuano a esser vittime. Non solo di chi le uccide, ma anche di chi vede con insofferenza e peggio ancora con ironia la loro volontà di farsi rispettare. Di quel rispetto senza il quale l’amore è malconverso per definizione, è infatuazione, capriccio, volontà di possesso, non amore. Non credo siano delitti casuali, quelli di questi giorni. Credo siano prova di un disprezzo e disamore che la donna deve ancora subire. E sono millenni che ci perdona.
Roberto Mussapi
LE TRAGEDIE
Eleonora Noventa
La studentessa di soli 16 anni è stata uccisa domenica dal suo ex fidanzato, Fabio Riccato, 30 anni neolaureato in biologia che non accettava l’addio.
Eleonora NoventaAveva da poco vinto la causa di separazione con il marito, Omar Bianchera. «Io mia moglie la uccido», aveva detto e così poi ha fatto lo scorso il 25 aprile.
Cristina Rolle
Aveva cercato di affrontare con serenità il problema dell’affidamento delle figlie. Il marito Giampiero Prato ha preso un coltello e l’ha uccisa davanti al giudice lo scorso 11 maggio.
Daniela Gardoni
La ragazza aveva 23 anni ed era fidanzata con un carabiniere il quale aveva un’altra donna che attendeva un figlio da lui. Il 6 giugno lui le ha sparato un colpo in testa durante una lite.
Michelina Wojcicka Simona Melchionda
È stata uccisa il 17 giugno dal suo fidanzato,Vito Calefato, 33 anni che aveva deciso di lasciare.
Alicia Brunilda
Domenicana, viveva a Vescovado Di Murlo (Siena), con il marito Juan Ramon Garcia Cappellan.
Il 27 giugno lo lascia. Lui la investe investe con l’auto.
Maria Montanaro e Sonia Balconi L’unica cosa che lega le due donne è che sono state uccise il 30 giugno dalla stessa mano, quella di Gaetano De Carlo, ex fidanzato della prima che si era invaghito anche della seconda.
Sonia Balconi
Simona Melchionda
Il 1 luglio, è stata uccisa dall’uomo con cui conviveva, un bulgaro, perché si lamentava della condizione di estrama povertà in cui lui la faceva vivere.
Maria Montanaro
Debora Palazzo
Aveva solo 20 anni e aveva deciso di chiudere la storia con il suo ragazzo, Riccardo Regazzetti. Lui le ha sparato due colpi al cuore, lo scorso 3 luglio.
Angela Nijmic
Bancaria, collaboratrice de “Il Tempo” è stata uccisa dall’uomo che si era invaghito di lei.
Roberta Vanin
A 43 anni aveva lasciato il suo fidanzato Andrea Donaglio, anche se continuava a lavorare con lui nel negozio di prodotti biologici a Spinea (Venezia). Lui l’ha uccisa il 6 luglio nel negozio con 50 coltellate.
Chiara Brandonisio
L’8 luglio a Bari è stata assassinata da un uomo, che l’ha colpita a sprangate: i due si erano conosciuti attraverso Facebook e lui allacciare un rapporto.
Debora Palazzo Anna Maria Tarantino
In poche settimane 14 omicidi. Ieri un’albanese uccisa nel Cuneese, morto anche l’amico
DA MILANO ANTONELLA MARIANI
Clara, accoltellata ieri a Napoli dal marito che non accettava la separazione, forse si salverà. È in prognosi riservata, gravissima all’ospedale di Napoli, ma i medici sperano che il suo nome non si aggiunga all’elenco lunghissimo delle vittime della follia omicida maschile: dieci nelle ultime due settimane, quattordici in due mesi. La giovane albanese aggredita ieri sera a Ceva, nel Cuneese, invece no: Caterina Markovic, 24 anni, camminava con un ragazzo italiano, Salvatore Santia, di 28, quando la rabbia del suo assassino, un connazionale accecato dalla gelosia, le è piombata addosso, senza lasciarle scampo. Anche il giovane è morto poche ore dopo nel reparto di rianimazione dell’ospedale. Ancora Eleonora Noventa: aveva 16 anni ed è caduta sabato vicino a casa, ad Asseggiano, fuori Mestre, sotto i colpi di un uomo più grande di lei, un 30enne appena laureato, che poi ha rivolto l’arma su di sé. E prima, non lontano da lì, Roberta Vanin, 43 anni, anche lei accoltellata da un fidanzato che non si rassegnava alla fine della loro storia e che poi ha cercato di uccidersi. E poi, ancora, in questa estate rovente, Maria Montanaro e Sonia Balconi: non si conoscevano, abitavano a decine di chilometri di distanza, ma avevano avuto entrambe una relazione con l’uomo che le ha raggiunte, l’una a Chieri, l’altra a Rivolta d’Adda e le ha massacrate prima di togliersi la vita.
Cosa sta accadendo al rapporto tra uomo e donna? Come trovare una ragione agli atti disumani di uomini che non accettano un «basta, è finita», che non vogliono rinunciare a una donna vissuta come preda, oggetto, possesso? «C’è una fragilità psicologica delle fasce giovanili che la società non riesce a contenere», azzarda il procuratore di Venezia che indaga sull’omicidio- suicidio di Asseggiano, Carlo Mastelloni. «Una fragilità che presuppone uno stato fortemente nevrotico, che può dare spazio a raptus di violenza estrema nei casi di accesi confronti interpersonali», continua il magistrato. Il «mi lasci, ti sparo» può nascere da un raptus, ma a volte invece è frutto di un’ossessione. Come nel caso di Clara Esposito, la colf 42enne ridotta in fin di vita dal marito Giovanni Esposito ieri a Napoli. Lei era tornata a vivere con i suoi genitori perché esasperata dalle continue minacce del compagno, che già qualche giorno fa aveva cercato di strangolarla. Orrore su orrore. E forse anche il pericolo dell’emulazione: lo ha evocato ieri il parroco di Spinea ( Venezia), davanti alla bara bianca di Roberta Vanin, uccisa il 6 luglio. Commosso, don Antonio Genovese, ha parlato del perdono offerto dai genitori all’omicida della figlia, Andrea Donaglio, ora piantonato nell’ospedale di Mirano: «C’è una recrudescenza di fatti come quelli accaduti qualche giorno fa a Spinea e poi sabato fuori Mestre. Undici donne in poche settimane. Penso che chi è fragile perda il senso della vita e offra spazio all’emulazione ». Un altro funerale, ieri, a Oleggio (Novara): quello di Simona Melchionda, 25 anni, uccisa dal suo ex, il carabiniere Luca Sainaghi il 6 giugno e ritrovata solo il 3 luglio. Un funerale disperato, tragico. Sotto accusa ci sono soprattutto loro, gli uomini. «Sempre più uomini avvertono l’enorme divario tra sé stessi e la capacità di gestire il rapporto con una donna che sfugge alla propria capacità di conquista», spiega Vincenzo Mastronardi, esperto di Psicopatologia forense e docente alla Sapienza di Roma. Come correre ai ripari, come impedire altri lutti, altra disperazione? C’è la legge sullo stalking da far rispettare – e proprio ieri un rodigino di 39 anni è stato arrestato perché continuava a minacciare la sua ex. C’è la prevenzione. Una proposta concreta viene dalla Provincia di Torino, che ieri ha annunciato un ampliamento dei servizi dello Sportello telefonico per l’ascolto del disagio maschile, attivo dal 2009. Chi si rivolge allo Sportello potrà ricevere ascolto e sostegno e partecipare a gruppi di condivisione con l’obiettivo di prevenire la violenza. Una goccia nel mare. Ma forse, una vittima in meno.
Sabato la tragedia di Eleonora, 16 anni. Il suo ex le ha sparato e poi si è ammazzato
La pistola utilizzata dal killer di Eleonara Noventa, la studentessa di 16 anni uccisa domenica a Mestre (Ansa)
l’analisi/1
Paola Bassani
«Uomini troppo immaturi E la frustrazione fa il resto»
Un maschile molto fragile, che ha perso la capacità di contenere la sua aggressività; è severa la diagnosi della milanese Paola Bassani, psicologa e psicoterapeuta, grande esperta di relazioni di coppia.
Dottoressa Bassani, in che senso l’uomo oggi è 'fragile'?
Nel senso che è preso dalle voglie, dagli istinti, come se non riuscisse mai a crescere. Lo vediamo nei rapporti di coppia, come nei casi di questi giorni, in cui la fragilità esplode in episodi drammatici di totale mancato contenimento delle pulsioni aggressive.
Un maschio che non accetta il no...
È così. È come se la cosa più importante, oggi, fosse il rispondere alle proprie esigenze egocentriche. Anche l’altro deve conformarsi a questa esigenza; non c’è più la relazione come cosa buona in sé, ma come buona in quanto fa stare bene me. E solo me.
Ma perché ci sono così tanti uomini che vivono in questa eterna adolescenza?
Perché la società li ha fatti spostare sull’avere le cose, sul diventare qualcosa (e non sé stessi), sul mettere in mostra la propria capacità piuttosto che il proprio essere.
Insomma, essere lasciati da una donna
diventa uno smacco sociale?
Sì, è una grande frustrazione, una ferita alla propria virilità. È come se il bambino piccolo si sentisse abbandonato dalla madre. Questi uomini assassini sono rimasti bambini, hanno una sorta di attaccamento anomalo, patologico, con la donna-oggetto. L’adulto, infatti, è in grado di gestire un no e di elaborarlo, può attraversare la frustrazione senza sentirsene ucciso, annientato.
Chi o cosa può insegnare a una persona ad attraversare la frustrazione di un 'no', un abbandono, senza sentirsene distrutta?
Questo a che vedere con il modo in cui veniamo allenati, fin dall’infanzia, ad affrontare i no, a partire da quelli necessari, pronunciati da genitori sereni, che non si fanno ricattare dai capricci dei figli bambini. È come se noi adulti mettessimo dentro ai nostri figli abbastanza stima di sé per affrontare i no che inevitabilmente arriveranno, senza che se ne sentano rasi al suolo. E poi c’è un altro problema...
Oggi la donna è spesso mercificata, ridotta a cosa. Un corpo-oggetto da esibire come conquista e 'preda'. Dal momento in cui la donna diventa persona e si sottrae, è come se l’oggetto si animasse e dovesse essere nuovamente ridotto al silenzio, annullato, per rispondere ancora ai propri impulsi.
Antonella Mariani
l’analisi/2
Beppe Silvelli
«All’origine di tutto la violenza di una società che non educa»
O mia o di nessuno. Questo suggeriscono alcuni dei comportamenti omicida di questi giorni.
Ma che razza di amore è?
No, non si può parlare di amore – nega con forza Beppe Sivelli, psicologo e pricoterapeuta, presidente della rete di consultori familiari di ispirazione cristiana Ucipem –. Quando un uomo pensa di poter ottenere la fedeltà di una donna con la forza e con la violenza, denota una mancanza totale di rispetto nei suoi confronti. Il rispetto è vivere l’altro, come una persona diversa da sé, con i suoi pensieri e le sue idee e il suo modo di amare. In letteratura troviamo molte storie di amore e morte: Giulietta e Romeo, Tristano e Isotta, Orfeo ed Euridice.
Soprattutto in quest’ultima vicenda c’è l’uomo che non sopporta l’assenza dell’altra e che lei viva una vita autonoma. Quando la vede sfuggire, quando capisce che non esercita più il suo potere su di lei, la uccide involontariamente. La uccide perché la considera una sua proprietà, un oggetto, una sua appendice, non ne sopporta la mancanza.
Come possono esserci nella nostra società tanti uomini con questo senso del possesso così malato?
Parliamo di tanti Narcisi che non sopportano la ferita dell’abbandono, vivono il diniego d’amore come un oltraggio profondo, come se fossero stati privati di un proprio diritto. E l’orgoglio maschile li porta a uccidere il loro oggetto d’amore, inseguendo la propria immagine di onnipotenza. Quando una persona reagisce con queste modalità distruttive nei confronti dell’altro, parliamo ovviamente di situazioni patologiche, di aspetti psicopatici, perché l’amore è vita e questo invece è morte. L’amore crea, questo distrugge. L’amore è libertà, vuole il bene dell’altro, non certo la sua morte.
Diceva che sono situazioni patologiche. E da dove nascono?
Be’, la nostra è una società in cui sembra che ognuno possa fare tutto ciò che vuole. Una società in cui non c’è più rispetto dell’altro e con la forza e il potere si pensa di poter ottenere ciò che si desidera. Una società in cui l’altro è vissuto spesso come una appendice di un altro, un possesso, uno schiavo. Per imparare a sopportare gli insuccessi, le delusioni, i fallimenti, ci vuole una personalità adulta e
Viviamo in una società violenta, dunque, che non educa a gestire gli insuccessi?
Il proliferare di queste esplosioni folli di aggressività lo prova. Ma la violenza è dentro ciascuno di noi. Dobbiamo riuscire a ricreare una società un po’ più mite, meno basata su quella logica perversa che è 'mors tua, vita mea'.
(A.Ma.)
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L’utilità di questa esperienza è sintetizzabile in una poesia scritta da una delle nostre ragazze con cui desidero chiudere questo articolo.
Solitudine
Solitudine compagna lieve
Di tutta la gente
Che affolla la mente
Ma svuota l’anima.
Non sei la vincitrice tu
Non sei più la regina:
Qualcuno può sconfiggerti
Con l’abbraccio del bene
Può trafiggerti.
Non è più male la mia vita
Non è più tristezza il mio futuro!
Solo il sapore del ricordo
Mi resta ancora amaro
Ma è già un passato dimenticato
Un tempo rinnovato
Mettere le mani in pasta
La Piazza dei Mestieri nasce a Torino nel 2004 ristrutturando una vecchia conceria trasformata in un luogo pensato per i giovani adolescenti (14-18 anni), perché possano incontrare dei Maestri che li introducano allo studio, al lavoro, allo sport, all’arte, all’uso del tempo libero.
Sono oltre 500 i ragazzi che ogni giorno varcano il grande cancello della Piazza dei Mestieri e che si distribuiscono lungo i 7.000 mq dell’edificio per frequentare i loro percorsi educativi che hanno una durata biennale o triennale e che li porteranno a diventare cuochi, barman, maitre, grafici, cioccolatieri, acconciatori, panettieri.
Spesso si tratta di ragazzi che hanno situazioni difficili alle spalle, dagli insuccessi scolastici ai problemi familiari. Oltre il 50% delle famiglie (ma molte altre si vergognano di dircelo) dei nostri studenti dichiara un reddito familiare che non supera gli 11.000 euro annui (sotto il livello di povertà). E non è solo una povertà economica. Tanti non conoscono la loro stessa città; quasi tutti hanno perso la speranza che la scuola sia un percorso possibile e adatto per loro.
È un fenomeno noto che emerge ormai da gran parte dei dati statistici e dalle analisi nazionali e internazionali sul nostro sistema educativo; i giovani tra 18 e 24 anni in possesso della sola licenza media inferiore e non iscritti ad alcun percorso educativo o formativo sono in Italia oltre 1.000.000, ma anche tra coloro che permangono nel sistema di istruzione le difficoltà non mancano: i tassi di assenza scolastica sono in crescita costante; resta elevato il gap, nei confronti degli altri Paesi industrializzati, in termini di competenze chiave; sono sempre più numerosi i quindicenni che dichiarano di non vedere alcuna utilità nel frequentare la scuola; tra coloro che si diplomano, il 30% lo fa con uno o più anni di ritardo; il primo inserimento lavorativo è situato in media al venticinquesimo anno di età e per oltre il 45% delle persone sino a 35 anni esso non ha alcuna attinenza col percorso scolastico svolto in precedenza.
Davanti a questa emergenza educativa, non abbiamo voluto limitarci ad aggiungere dati alle analisi, ma abbiamo deciso di mettere le mani in pasta. Dopo sei anni la nostra esperienza ci fa vedere che davanti a una proposta educativa i giovani si riaprono alla speranza, ricominciano a credere a loro stessi, al fatto che hanno un valore, e cosi in questi primi anni degli oltre 1.400 giovani che sono passati in Piazza il 95% ha finito il suo percorso formativo e quasi tutti (il 97% del settore acconciature, l’85% di quello gastronomico alberghiero e il 70% di quello grafico) ha trovato lavoro nel settore in cui aveva studiato e sono in crescita anche quelli che passano al quarto anno delle superiori per giungere al diploma.
La prima dimensione è legata alla bellezza. Noi siamo convinti che per ognuno, ma soprattutto per i giovani, la voglia di fare e di costruire nasce dall’attrattiva che genera su di loro la bellezza; per questo abbiamo cercato di creare un luogo accogliente, bello pieno di colori. Ed è per lo stesso motivo che ai nostri ragazzi proponiamo ogni settimana eventi musicali e teatrali, o li portiamo a vedere cose belle, ma anche che li accompagniamo a vedere la bellezza che nasce dall’opera delle loro mani.
Da questa osservazione nasce la seconda dimensione che è legata alla valorizzazione della manualità; i nostri ragazzi sono accompagnati a vedere la realtà trasformarsi sotto i loro occhi, vedere come le loro mani, come quelle dei loro maestri artigiani, diventano intelligenti e generano. Questa dimensione che si è ormai persa nelle nostre scuole tecniche e professionali è uno dei grandi patrimoni della tradizione del nostro paese che dobbiamo recuperare.
Una terza dimensione è quella legata al lavoro; per anni si è contrapposta l’educazione (scuola) al lavoro, come se fossero due momenti distinti e successivi; sono stati anni in cui è prevalsa una concezione che demonizzava l’impresa e l’imprenditore, sembrava che la scuola fosse umanizzante e il lavoro mero sfruttamento. Ecco noi vogliamo superare questo dualismo sciocco e ideologico. In Piazza si lavora sul serio, ogni ragazzo può frequentare i laboratori sotto la guida di maestri esperti, ma anche lavorare al ristorante aperto al pubblico, o al pub che serve la birra prodotta da noi. E alcuni prodotti sono venduti sul mercato come la birra e il cioccolato o sono utilizzati dalle aziende per la loro regalistica, cosi come sul mercato sta la nostra tipografia. Questo collegamento con il lavoro è una delle grandi novità del modello della Piazza dei Mestieri.
Ma la vera sfida è che il risultato di questo lavoro sia eccellente, che quello che fanno sia sempre più buono, che chi assaggia i loro prodotti provi soddisfazione. Per fare questo abbiamo scelto dei maestri che eccellevano nel loro mestiere e che hanno accettato di correre insieme con noi l’avventura di questa sfida.
In questo senso la Piazza, oltre a essere un ambito formativo, è anche un’impresa che si misura con i suoi clienti. Certo è un’impresa sociale che ha caratteristiche particolari, ma ha i problemi della produzione, dei clienti che non pagano, cosi come ha la necessità di remunerare chi lavora attraverso il raggiungimento di risultati positivi. Questa dimensione è preziosa perché ci permette di trasmettere a questi ragazzi l’onore del lavoro e del fare impresa, aprendoli a un compimento personale e a una responsabilità che è anche la grande speranza per affrontare ogni crisi personale, sociale ed economica.
Un luogo aperto al mondo
Una delle peculiarità della Piazza è quella di un’apertura al mondo. Non è pensabile costruire dispositivi per l’inclusione sociale realizzando “spazi chiusi”, per loro natura spesso autoreferenziali, un po’ asfittici, in cui i giovani che già vivono situazioni di marginalità vengano confinati nuovamente in contesti posti a lato dello scorrere della “vita normale”. L’apertura verso il mondo, attraverso la partecipazione alla vita della comunità territoriale, rende più semplice apportare correttivi e inventare risposte nuove ai bisogni emergenti.
Il “fare con”, il farsi compagno di un pezzo di strada, è il metodo che connota tutte le relazioni della Piazza, da quelle del tutor con il ragazzo, a quelle dell’artigiano che si rende disponibile a insegnare un mestiere, al tavolo degli amici della piazza che riunisce ogni mese 35 professionisti e imprenditori che dialogano su come sostenere questa esperienza, fino al rapporto con l’autorità locale, che ha la responsabilità di favorire un reale processo di sussidiarietà, sorreggendo iniziative in grado di fornire risposte concrete a bisogni emergenti.
Con la stessa logica, approfondendo i rapporti con le scuole, si sono costruiti percorsi per i docenti, mettendo a disposizione approcci e metodologie testati e consolidati e si sono istituiti percorsi di sostegno allo studio durante i regolari percorsi scolastici per i ragazzi con difficoltà di apprendimento.
I rapporti con i servizi sociali, i centri di aggregazione giovanili, le parrocchie, gli enti che per primi percepiscono situazioni di disagio, gli organi di pubblica sicurezza si sono approfonditi nel tempo, fino a creare un vero e proprio salvagente per le situazioni di emergenza e per sviluppare progettualità per supportare situazioni critiche.
Nella logica del “fare con” si è inoltre dato molto spazio agli incontri con gli artigiani, le imprese (oltre 700 ormai) e le loro associazioni, per verificare e analizzare le carenze nelle competenze e il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, per costruire percorsi di apprendimento che rispondano alle esigenze del tessuto imprenditoriale. Percorsi in cui si sono coinvolti gli imprenditori e le diverse professionalità presenti nell’impresa; un coinvolgimento che si estrinseca nella partecipazione diretta alle attività didattiche, come nel costante dialogo sui contenuti dei percorsi educativi, per giungere sino alla collaborazione sulla pluralità delle iniziative in cui si estrinseca la vita stessa della Piazza.
Infine decisivo è stato il coinvolgimento degli enti locali e delle fondazioni bancarie. La necessità di tale coinvolgimento non è meramente connessa agli aspetti finanziari (che pur sono rilevanti), ma anche alla condivisione vera e propria dell’idea e della sua capacità di rispondere a un bisogno emergente dei giovani del territorio. Se la mission viene condivisa e assunta come propria, tali soggetti possono aiutare l’azione sui ragazzi favorendo l’apertura a nuove reti di interlocutori la cui azione sia complementare e dunque integrabile a quella della Piazza.
L’utilità di questa esperienza è sintetizzabile in una poesia scritta da una delle nostre ragazze con cui desidero chiudere questo articolo.
Solitudine
Solitudine compagna lieve
Di tutta la gente
Che affolla la mente
Ma svuota l’anima.
Non sei la vincitrice tu
Non sei più la regina:
Qualcuno può sconfiggerti
Con l’abbraccio del bene
Può trafiggerti.
Non è più male la mia vita
Non è più tristezza il mio futuro!
Solo il sapore del ricordo
Mi resta ancora amaro
Ma è già un passato dimenticato
Un tempo rinnovato