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23 dicembre 2013 1 23 /12 /dicembre /2013 22:09

 

Aguri di un Santo Natale a tutti voi 

Artemio e famiglia

 

 

                                                santo natale 1-copie-1

NATALE

 

Guardo il presepe scolpito,

dove sono i pastori appena giunti

alla povera stalla di Betlemme.

Anche i Re Magi nelle lunghe vesti

salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio

delle figure di legno: ecco i vecchi

del villaggio e la stella che risplende,

e l'asinello di colore azzurro.

Pace nel cuore di Cristo in eterno;

ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.

Anche con Cristo e sono venti secoli

il fratello si scaglia sul fratello.

Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino

che morirà poi in croce fra due ladri?

di Salvatore Quasimodo

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21 novembre 2013 4 21 /11 /novembre /2013 22:26

 

 

La Bibbia è violenta? No, siamo noi buonisti

 

 

Beato Angel180i 300

 

IL CASO La Bibbia è violenta? No, siamo noi buonisti.

Nelle sante Scritture ci sono parole dure, espressioni che ai nostri orecchi suonano sgradevoli, testimonianze su sentimenti dei credenti ma anche di Dio che ci urtano e qualche volta forse ci scandalizzano. Le Scritture non allettano, raramente seducono, anzi spesso contestano le nostre certezze religiose fino a contraddirle. È vero, numerosi sono i passi delle Scritture in cui Dio appare nella collera, irato, sdegnato fino a punire con la rovina, la morte e l’annientamento chi contraddice la sua volontà e la sua legge, e non pochi sono i passi in cui Dio stesso, il nostro Dio, ordina l’uccisione, lo sterminio di uomini… Nel II secolo d.C., quando ormai si imponeva una Chiesa fatta di gojim, di pagani passati alla fede in Gesù Cristo, Marcione, di fronte a queste difficoltà presentate soprattutto dall’Antico Testamento alla fede dei credenti, rigettò il Dio e le Scritture dell’Antico Testamento e cercò di vedere nel Dio di Gesù Cristo un Dio nuovo. Naturalmente il suo tentativo di epurare le Scritture non poté fermarsi all’Antico Testamento, ma continuò nella discriminazione dei libri del Nuovo Testamento. Una logica che mai può essere arrestata quando si intraprende la via marcionita… Si può dire che da allora l’Antico Testamento ha sempre fatto problema ai cristiani che provengono dalle genti, e in ogni stagione ecclesiale, all’apparire di un’emergenza o di un’urgenza nella fede o nella Chiesa, spuntano i marcioniti e sempre appaiono «nuovi», perché ripartono ogni volta da capo nel contestare tutto ciò che precede il Cristo. Eppure la Chiesa con la sua grande tradizione non ha mai permesso di separare i due Testamenti, ha condannato chi lacera le Scritture, ha sempre proclamato che la parola di Dio è contenuta nelle Scritture di Israele e nelle Scritture dei cristiani in modo inseparabile. Tuttavia occorre ammettere che la violenza, il castigo, la vendetta di Dio o dei credenti restano un problema per molti lettori della Bibbia. Sì, va detto con chiarezza: un cristiano che non sia ancora giunto alla piena maturità della fede fatica a conciliare queste espressioni bibliche di violenza con la sua fede e la sua preghiera. Gesù infatti ha chiesto: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano», «Benedite coloro che vi maledicono», ed è morto in croce pregando a favore dei carnefici. Ma allora, come è possibile restare fedeli a Gesù e alla sua legge, al suo spirito, e poi nella preghiera contraddire questa fedeltà radicale invocando il male, maledicendo i nemici nostri e di Dio, chiedendo per loro distruzione, annientamento, scomparsa? È conciliabile l’amore predicato da Gesù – amore universale, senza limiti né condizioni, fino al nemico – con l’uso nella preghiera, per esempio, del Salterio che contiene frequenti richieste di vendetta e imprecazioni contro i nemici? A mio avviso il problema dei cosiddetti «salmi imprecatori», così com’è stato affrontato e «risolto» da oltre quarant’anni a questa parte – cioè con l’espunzione dalla preghiera liturgica –, ne pone un altro più vasto riguardante la preghiera e il pregare. È una preghiera, quella che fa a meno delle deprecazioni, assai poco biblica e alquanto ideologica, dunque ipocrita, lontana dalla parresia nel rapporto con Dio: verso Dio si grida, si urla nei momenti dell’angoscia, della disperazione, della violenza subita (Gesù grida sulla croce!). È una preghiera lontana dalla storia e dal reale male che l’attraversa, dai reali empi e malvagi che sono i prepotenti-onnipotenti che imperversano nella storia. E qui occorre chiedersi: si crede che la preghiera è una potenza che agisce nella storia, una forza da opporre allo strapotere del male e dei malvagi? È una preghiera lontana dagli oppressi, dai poveri, dai senza mezzi, che sono il «pasto» quotidiano di ricchi, ingiusti e oppressori; lontana da una reale intercessione in favore degli oppressi: pregare contro l’oppressore è pregare con l’oppresso, è invocare e annunciare il giudizio di Dio nella storia e sulla storia. Ci può essere, in questo, una «parzialità» che disturba il nostro buonismo: in realtà si prega nella storia e non fuori della storia, e la storia non è già redenta, né tutta santificata, ma esige giudizio, opzione, discernimento. Solo una visione angelicata della preghiera, una visione «sacrale», può togliere queste invettive! La preghiera è scegliere di stare dalla parte della vittima piuttosto che dell’aguzzino; di essere vittima dell’ingiustizia piuttosto che artefice di essa. Nei 150 salmi e nei numerosi cantici presenti nelle Scritture noi troviamo «parole contro» i nemici, dunque «preghiere contro» che possono creare delle difficoltà a noi cristiani. Nel Salterio abbondano queste espressioni in bocca a chi soffre, alla presenza di nemici, nemici suoi personali, nemici di Israele, oppure nemici di Dio: quei nemici che lo perseguitano, lo torturano, gli vogliono dare la morte. Ma, non lo si dimentichi, sono imprecazioni presenti sempre in salmi di supplica, comunque sempre rivolte a Dio o confessate davanti a Dio. Per questo non sarebbe adeguato, anzi è improprio parlare di salmi «imprecatori», e non è giusto vedervi solo grida di vendetta: sono gemiti, urla, suppliche accorate formulate in situazioni di disperazione. Certamente sono suppliche a volte eccessive; ma chi può mai pesarle e condannarle, se non si è trovato nella stessa situazione di violenza sofferta nella propria persona? Che cosa grideremmo noi in simili situazioni? E soprattutto: grideremmo stando davanti a Dio, invocando lui? Mutilare il Salterio per ragioni edificanti, mutilare l’Antico Testamento (ma verrà anche l’ora in cui in nome della «sensibilità della gente» si chiederà di purgare il Nuovo Testamento!) significa diventare più poveri di quella testimonianza in «carne e sangue» che è presente nella Bibbia. Di fronte al male operante nella storia le «preghiere contro», le invettive contenute nei salmi di supplica sono uno strumento di preghiera dei poveri, degli oppressi, dei giusti perseguitati: essi intervengono con le loro grida, visto che nella storia per loro non ci sono altri spazi! Con queste espressioni l’orante dà un giudizio sul male, lo discerne, lo condanna e chiede a Dio di intervenire per fare giustizia e castigare il malfattore. Questi salmi sono in verità estremamente esigenti, perché sanciscono il principio in base al quale anche di fronte all’ingiustizia e al male subiti il credente si vieta di farsi giustizia e non cede alla tentazione di rispondere al male con il male, alla violenza con la violenza, ma lascia fare alla giustizia di Dio. Non si dovrebbe poi dimenticare che all’interno dell’Antico Testamento i salmi imprecatori in verità costituiscono un radicale superamento della legge del taglione, che pure era già una misura di salvaguardia dalla vendetta senza fine, dalla faida illimitata. I passi imprecatori dei salmi e dei cantici biblici, se letti in verità, non ci portano a scandalizzarci ma ci danno invece una grande lezione: questi oranti mostrano una grande pazienza. Non si fanno giustizia da soli, non ricorrono a strumenti di guerra, anzi mettono un freno all’istinto di violenza e si affidano unicamente a Dio. Questa la loro fede: ecco da dove nasce il loro grido a Dio. Enzo Bianchi

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30 ottobre 2013 3 30 /10 /ottobre /2013 07:45

  

 

 

Camisasca:

 

«La Festa dei Santi non può essere

 

in nessun modo sostituita da Halloween»


halloween

 

Halloween :  no grazie non festeggio una zucca vuota

ApostoliR375

 

 Ci avviciniamo a due giorni importanti per i cristiani, ma più in generale per

tutto il nostro popolo: la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei

Defunti, 1 e 2 novembre. Sono due giorni a cui la nostra gente guarda

da tutto l’anno. Nei santi, sia quelli che vivono in cielo, sia quelli che

vivono sulla terra, vediamo persone vere, realizzate, perché

interamente dedicate a Dio e al bene dei loro fratelli. Nei nostri

defunti, per cui preghiamo e a cui ci lega una profondo vincolo di

gratitudine e di affetto, riconosciamo coloro che ci hanno preceduto e

che ci attendono.


La Festa dei Santi è una festa di gioia e di luce. Quella dei morti è una

 

giornata di mestizia serena, consapevole che non tutto finisce, ma che c’è

 

una vita oltre la vita. Le nostre comunità sono chiamate a celebrare

 

questi giorni con particolare attenzione e profondità. In modo speciale

 

la Festa dei Santi non può essere in nessun modo sostituita da

 

Halloween. Come ricorda il recente documento dei vescovi dell’Emilia

 

Romagna su “Religiosità alternativa, sette e spiritualismo”, in quelle

 

celebrazioni pagane si festeggiano “una zucca vuota illuminata al


suo interno, fantasiosi fantasmi e folletti, immaginari mostri, streghe evampiri”. Il diffondersi di Halloween mostra che le nostre comunità hanno spesso perduto il senso della festa e anche l’occasione di far festa intorno agli eventi della vita di Gesù e dei santi. Occorre riscoprire la gioia della fede. Perché questo possa accadere è necessario che la fede torni ad essere un’esperienza viva, consapevole, capace di dare forma alla vita. È ciò che la diocesi si propone di aiutare a vivere nell’anno pastorale che comincia, dedicato alla fede della Chiesa.



 

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31 dicembre 2012 1 31 /12 /dicembre /2012 16:11

 

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Cosa dire alla fine di questo anno ?

Non posso che essere contento di quello che la vita mi ha riservato in questo 2012.

Non sono state solo gioie ma sicuramente ho avuto più cose belle che brutte .

Ho il dono di una bella famiglia  , quella più ristretta cioè mia moglie e i miei figli , ho il dono di una famiglia più  allargata quella dei miei fratelli, sorelle,cognati,cognate,nipoti,suocera , ho il dono di una miriadi di parenti che sono un’altra grossa famiglia ,ho il dono di tanti amici  ma veramente tanti , ho il dono di tanti bravi colleghi di lavoro, ho il dono di un lavoro ( speriamo per tanto ancora). Di tutto questo ne sono grato al Signore perché veramente mi sento fortunato ad avere così tanti doni . Ma questi doni vanno custoditi come “gemme preziose” perché  mi sono state donate. E mi sono state donate perché diventino frutto , frutto di un’amore  contagioso . Verranno giorni più bui di questi , ne sono profondamente consapevole  ma oggi gioisco per questo . Son cosciente anche che purtroppo c’è tanta gente che non ha motivo di essere  contenta . C’è chi non ha famiglia  o vive in famiglie disastrate, non ha parenti o amici su cui fare affidamento e cercare un po’ di conforto, c’è chi non ha lavoro o la casa  e vive di stenti , c’è chi soffre per  una salute precaria o un lutto appena avuto ,insomma c’è diversa gente che non sta passando momenti felici ed è presa dalla disperazione. Ed è per questo che insieme ad un atteggiamento di gratitudine per tutti i doni che mi ha dato, al Signore mi rivolgo con una preghiera di supplica perché possa concedere a tutte queste persone dei giorni migliori  e che comunque li sostenga con segni di Speranza . Chiedo anche al Signore di dare anche a me la forza per essere un segno di speranza per tutti quelli che mi stanno accanto e che potrei aiutare . La Speranza si fa concreta per mezzo di noi ed è per questo che bisogna continuamente mettersi in gioco . Dio mi ha dato per dare agli altri .

Grazie a tutti voi e vi auguro un 2013 pieno di gioia,amore e speranza. .

 

Auguri

Auguri

Auguri

Auguri

 

Ciao Artemio  

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31 ottobre 2012 3 31 /10 /ottobre /2012 07:49

halloween

 

Basta con questa festa di Hallowen, stasera stacco il citofono ......

 

 

 

La festa di Halloween…e dei Santi…

  Il popolo dei Celti, che viveva in Irlanda, alla fine di ottobre celebrava l'arrivo dell'inverno con una festa chiamata   "All Hallow even” che significa= “la vigilia di tutti i Santi”.               Si accendevano fuochi attorno ai quali tutti danzavano, indossando maschere per spaventare le streghe.
In ricordo di quell'antica festa, ancora oggi si festeggia Halloween la notte del 31 ottobre; in questa notte i bambini solitamente si mascherano e bussano alle porte delle case, dicendo: "Trick or treat", cioè "dolcetto o scherzetto". Chi apre la porta offre loro biscotti e caramelle… se invece non offrono nulla fanno uno scherzetto
J
Simbolo di Halloween sono le zucche con dentro una candela: la luce serve a tenere lontani gli spiriti della notte.

     Il giorno dopo Halloween è Ognissanti, cioè la festa di tutti i Santi.  Riconosciamo che la festa di Halloween non è di nostra tradizione, ma è appunto una festa di origine celtica e quindi bisogna dare ai celti quello che è dei celti e “a Dio quel che è di Dio”…

     Noi cristiani non adoriamo il culto dei morti, ma il Dio della vita  Anche se i celti con questa festa volevano sdrammatizzare la morte, è comunque una festa che evoca molti simboli che rimandano ad essa… 

      Se pensiamo a case stregate, pipistrelli, spiriti, streghe e Jack-O-Lantern... (tutte suggestioni  ingannevoli…) il loro denominatore comune è la paura che vogliono incutere.    

     La morte fa paura a tutti, ma ogni cristiano ha ricevuto nel Battesimo la vita eterna e quindi, in forza del dono dello Spirito dell’amore “siamo concittadini dei Santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). Ogni essere umano desidera la felicità, il bene, il bello e questo altro non è che desiderare Dio.  Ogni battezzato porta in sé la luce della santità e quindi è chiamato a irradiarla nel mondo per portare a tutti la gioia e la pace.

    Storie di violenza e di morte ai nostri giorni ce ne sono fin troppe e quindi quando vediamo la zucca con il lumino dentro ricordiamoci che non siamo “zucche vuote” ma siamo preziosi agli occhi di Dio perché portiamo dentro di noi una luce speciale che ci chiama a diventare SANTI per rispondere al progetto di Amore che Dio ha su ogni creatura.

 

Completa questo piccolo cruciverba crittografato (a numero uguale corrisponde lettera uguale)

….e scoprirai cosa ci dice Gesù:

 

V

1

 

I

 

S

I

E

2

E

 

3

A

 

 

3

U

C

E

 

D

E

3

 

M

1

 

N

D

1

 

(cfr  Mt 5,14)

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2 giugno 2012 6 02 /06 /giugno /2012 22:02

 

 

Un tu per cui vivere

sabato 2 giugno 2012

 

Un tu per cui vivere
Nessuno può vivere senza un amore personale, concreto. Senza un “tu” non si può vivere. Per questo la tragedia più grave della vita è la solitudine, intesa non solo come solitudine fisica, ma soprattutto come assenza di legami, come solitudine radicale. Anche il monaco anacoreta non è solo. Anche lui ha un tu per cui vivere, altrimenti impazzirebbe, diventerebbe un cuore di pietra. 

Purtroppo però c’è sempre la possibilità che il nostro rapporto con l’altro cerchi soltanto di colmare il proprio bisogno di affetto e finisca per essere un atto egoistico, narcisistico. Anche chi ha figli può rischiare di cercare nei propri figli il riempitivo della propria vita.

La conversione dell’amore è una questione che ci riguarda tutti. Tutta la nostra vita è un passaggio dall’invidia alla purità del cuore, dalla gelosia e dal possesso alla verginità, dall’ira e dalla violenza a uno sguardo sull’altro che sappia rispettarlo nella sua identità. Si tratta di verificare continuamente il nostro sguardo e il nostro cuore. È un itinerario che può essere più facile per uno e più difficile per un altro, ma ci riguarda tutti.

Sono chiamato ad accettare la sfida che l’altro mi propone. Egli non è semplicemente un tubo che posso riempire con le mie parole o con i miei servizi, ma è qualcuno che mi invita ad aprirmi al mistero che egli rappresenta. Sono chiamato a rispettarne l’individualità. Dio, attraverso di lui, vuole il cambiamento della mia vita. Quindi è tutt’altro che facile vivere con un altro. Ma se accettiamo la provocazione che è per la nostra vita, entriamo nell’avventura più bella dell’esistenza. 

Il bisogno dell’altro insito nella nostra natura è assolutamente evidente nelle dinamiche tra genitori e figli. Il “tu” del figlio è così profondamente necessario per i genitori, che essi sono disposti a sacrifici enormi, a ritmi e a fatiche che possono costare anche dolore. C’è un rapporto molto profondo tra l’amore e la fatica, l’amore e il dolore. Ma c’è un uomo, Dio che si è fatto uomo, che ha preso su di sé tutti i nostri dolori, tutte le nostre fatiche non per esonerarci da essi, ma per donare loro un senso. Se accettiamo di viverli con Lui, i nostri sacrifici sono la strada della salvezza, la nostra e quella delle nostre famiglie.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dimmi come vuoi che io sia per farti felice

Dimmi come vuoi che io sia per farti felice… così santa Gianna Beretta Molla ha parlato al suo sposo nel giorno del matrimonio. Ieri a Varese abbiamo avuto il piacere e la grande commozione di rileggere la vita della santa lombarda dialogando con i suoi tre figli, tutti presenti in sala.
Certo fa effetto sentire parole come quelle, che suonano perfino strane in un mondo come il nostro in cui tutto si gioca sulle rivendicazioni, sui diritti, sul pretendere dall’altro.
Quante volte abbiamo sentito “mio marito deve”, mia moglie DEVE, e così via. Ci siamo inquinati e abbiamo dimenticato che l’essenza dell’amore non è chiedere, ma dare, non è vantare diritti ma offrire, offrire tutto di noi stessi per scoprire che in tal modo ci si ritrova integralmente, che nulla di noi va perduto ma ci viene restituito migliorato, depurato.
Ho discretamente chiesto a una delle figlie della santa se mamma si inquietasse mai in casa, anche perché stavo pensando di essere un caso disperato. “Qualche volta sì”, mi ha risposto, confortando così le mie speranze di santità.
L’essenza della famiglia è proprio questa, un sottilissimo filo rosso che lega un uomo e una donna che si promettono amore per la vita. Un filo tanto resistente quanto fragile, un legame che può portare in cielo due sposi, trasferendo il loro amore da questo mondo direttamente all’altro mondo.
Gli sposi che amano in questa prospettiva sono capaci ancoro oggi di “cose dell’altro mondo” come accogliere figli disabili, oppure semplicemente il terzo, il quarto, il decimo, magari col conto corrente in rosso.
La sua forza ma anche la sua fragilità: quante troppe separazioni, quanti divorzi. E’ un legame sotto un attacco che non possiamo più trascurare. La relazione genitori – figli, la relazione di adozione e di affido, la relazione con gli anziani, con i disabili, la stessa vedovanza sono radicalmente condizionate nel loro successo integrale dalla qualità della relazione coniugale.
Vera e Stefano Zamagni, da lunga data sposi, genitori e nonni oltre che docenti universitari, ci hanno ricordato proprio questo: il lavoro non può mai entrare in conflitto con la famiglia, con la coniugalità. L’era contemporanea postula un necessario intervento di armonizzazione tra queste due realtà profondamente umane che per loro natura non sono in conflitto. Da sempre l’uomo e la donna collaborano per crescere e sostenere la loro unione. Solo negli ultimi centocinquant’anni vuote ideologie hanno postulato una contrapposizione tra famiglia e lavoro. Compito dei cristiani, e in particolare dei professionisti cristiani è mostrare una nuova armonia possibile tra lavoro e famiglia. In fondo – aggiungo io – sono i due comandamenti che Dio ha dato all’uomo quando è uscito dall’Eden per diffondersi su tutta la terra: andate e moltiplicatevi, e soggiogate la terra. Comandamenti dati non certo come punizione ma come via maestra per ritornare a Lui.
Sono convinto che occasioni come queste ci diano la possibilità di mostrare a questa generazione, affannosamente ripiegata su sé stessa dalla crisi, che è invece possibile amare. Imparare ad amare nella famiglia, per poi a ricaduta amare nel lavoro, nella vita di tutti i giorni, ovunque siamo.
La testimonianza del famoso calciatore dell’Inter Zanetti, sposato e padre di tre figli, profondamente credente e fedele al suo matrimonio anche in un mondo pieno di occasioni di ogni sorta come quello delle star, ci ha trasmesso la consapevolezza che abbiamo davvero una grande vocazione.
Questo messaggio di speranza vorrei raggiungesse tutte le coppie in crisi, gli sposi che stanno pensando di lasciarsi, di gettare la spugna. E’ vero che è difficile amare, che a volte costa caro, ma chi l’ha provato sa che ne vale sempre la pena. Coraggio!

Simone Pillon



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6 marzo 2012 2 06 /03 /marzo /2012 07:34

***Monti ha abolito Dio e anche il popolo italiano

 

Civiltà )( BarbarieSalva-Italia: il governo dà l'ok alle aperture domenicali dei negozi. Così si cancellano i riti sociali e si puniscono i lavoratori più deboli
di Antonio Socci
Tratto da Libero del 3 marzo 2012

 

 

Monte Mario è una collinetta che sovrasta il Vaticano. Non vorrei che Monti Mario pretendesse di sovrastare Dio stesso, spazzando via, con un codicillo, quattromila anni di civiltà giudaico-cristiana (e pure islamica) imperniata sul giorno del Signore, «Dies Dominicus». Comandamento divino, nel Decalogo di Mosè, che è diventato il ritmo della civiltà anche laica, dappertutto. Perfino in Cina. Il codicillo del governo che «abolisce» Dio (o meglio abolisce il diritto di Dio che è stato il primo embrione dei diritti dell’uomo, come vedremo) è l’articolo 31 del «decreto salva Italia». Dove praticamente si decide che dovunque si possono aprire tutti gli esercizi commerciali 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno. Norma che finirà per allargarsi anche all’industria nella quale già è presente questa spinta. Dunque produrre, vendere e comprare a ciclo continuo. Senza più distinzione fra giorni feriali e festivi (Natale compreso), fra giorno e notte, fra mattina e sera.

Sembra una banale norma amministrativa, invece è una svolta di (in)civiltà perché abolendo la festa comune - e i momenti comuni della giornata - distrugge non solo il fondamento della comunità religiosa, ma l’esperienza stessa della comunità, qualunque comunità, dalla famiglia a quella amicale e ricreativa dello stadio. Distrugge la sincronia sociale dei tempi comuni e quindi l’appartenenza a un gruppo, a un popolo. Per questo c’è l’opposizione indignata della Chiesa e dei sindacati (pure di associazioni di commercianti). La cosa infatti non riguarda solo chi - per motivi religiosi - vede praticamente abolita la domenica, il giorno del Signore (per i cristiani è memoria della Resurrezione di Cristo e simbolo dell’Eterno in cui sfocerà il tempo).

Riguarda tutti, ci riguarda come famiglie, come comunità locali o particolari. Infatti è vero che ci sono lavori di necessità sociale che sempre sono stati fatti anche la domenica (pure il commercio in località turistiche e in tempi di vacanza). Ma è proprio l’eccezione che conferma la regola. La regola di un giorno di festa comune, non individuale, ma comune (sia per la liturgia religiosa che per le liturgie laiche), è infatti ciò che ci permette di riconoscerci. Ciò che consente di stare insieme ai figli, di vedere gli amici (allo stadio, al mare, in campagna, in bici, a caccia), di ritrovarsi con i parenti, di dar vita ai tanti momenti comuni o associativi. Se ai ritmi individuali già forsennati della vita si toglie anche l’unico momento comune della festa settimanale (o, per esempio, del «dopocena»), le famiglie ne escono veramente a pezzi. Tutti diventano conviventi notturni casuali come i clienti di un albergo. E si dissolvono i «corpi intermedi», i gruppi e le associazioni in cui l’individuo si realizza. Il giorno di festa comune ci ricorda infatti che non siamo solo individui, ma persone con relazioni e rapporti affettivi. Non siamo solo produttori/consumatori, ma siamo padri, madri, figli, fidanzati, siamo amici, siamo appassionati di questo o di quello, apparteniamo a gruppi, comunità, a un popolo.

Il «giorno del Signore» nasce quattromila anni fa per affermare che tutto appartiene a Dio. Ed è significativo che il comandamento del riposo che fu dato da Dio nella Sacra Scrittura riguardasse – in quell’antichissima civiltà - anche servi, schiavi e animali: era il primo embrione in forma di legge di una liberazione, di un riconoscimento della dignità di tutti, che poi si sarebbe affermato col cristianesimo. Proclamare il diritto di Dio come diritto al riposo per tutti (e addirittura riposo comune) significava cominciare a far capire che niente e nessuno può arrogarsi un potere assoluto sulle creature. Perché tutti hanno una dignità e perfino gli animali vanno rispettati. Come pure la terra (i ritmi della terra) che non può essere sfruttata senza riguardo. Non a caso, proprio sul ritmo settenario della settimana, Dio, nella Sacra Scrittura, comanda al suo popolo quegli anni «sabbatici», che corrispondevano al «giorno del Signore», per cui ogni sette c’era un anno in cui si liberavano gli schiavi, si condonavano i debiti e si faceva riposare la terra.

Questo è il retroterra storico della «Giornata europea per le domeniche libere dal lavoro» che è stata indetta oggi, in dodici paesi europei. È promossa dalla «European Sunday alliance» a cui aderiscono 80 organizzazioni, non solo chiese e comunità religiose (in qualche paese pure ebraica e musulmana), ma anche - e soprattutto - sindacati dei lavoratori e associazioni dei commercianti. Un’inedita coalizione impegnata in una battaglia anche laica. Battaglia di civiltà come fu quella per la giornata di otto ore all’albore del movimento sindacale: infatti si cita come esemplare il caso delle lavoratrici rumene di una catena di supermercati tedeschi che a Natale e Capodanno scorsi si sono ribellate al lavoro festivo e hanno vinto.

Fra l’altro la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato anticostituzionale l’apertura festiva perché lede la libertà religiosa e il diritto al riposo: la vita dell’uomo non è solo comprare e vendere. Perché non siamo schiavi. La situazione italiana si annuncia come la più dura. Infatti «in nessun Paese europeo esiste che i negozi stanno aperti 24 ore al giorno e sette giorni su sette», dichiara ad Avvenire il sindacalista della Cisl Raineri. Oltretutto con una decisione piombata dall’alto. Cgil, Cisl e Uil stamattina distribuiscono un volantino dove si legge: «Oggi non fare shopping! La domenica non ha prezzo». I sindacati dicono che sarebbero soprattutto le donne a pagare il prezzo più duro perché sono quasi il 70 per cento del personale nel commercio e sono quelle che già oggi soffrono di più la difficile armonizzazione dei «tempi di lavoro» con la famiglia.

È anche provato, dagli esperimenti fatti finora, che questa devastante trovata non avrebbe alcun beneficio né sull’occupazione, né sui consumi, infatti la gente non compra perché è tartassata dallo Stato e dalla recessione, non perché il supermercato è chiuso alla domenica. Infatti la Regione Lombardia ha già annunciato ricorso alla Corte Costituzionale contro la norma «ammazza domeniche». E la seguono a ruota Toscana e Veneto. Il mondo cattolico giudica inaccettabile quella norma ed è in subbuglio. Ora agli italiani, oltre ai soldi, pretendono di sottrarre pure Dio e la domenica. La Chiesa si sente «derubata» di una cosa assai più preziosa dei soldi che dovrà pagare per l’Imu (a proposito della quale non è affatto chiaro se e come le scuole cattoliche si salveranno).

Già la presunzione di Monti nel chiamare «salva Italia» il suo decreto tartassatorio, oltreché irridente è quasi blasfema. Per i cristiani infatti a «salvare» è solo Dio. Non imperatori, tecnocrati, partiti, condottieri, duci o idoli vari. Al sedicente «salvatore» SuperMario si addice la battuta: «Dio esiste, ma non sei tu. Rilassati». Non è un caso se ieri questa decisione del «governo mari e Monti» è stata fulminata nell’editoriale di Avvenire come «emblematica di una deriva culturale, un nuovo “pensiero unico” che maschera come una maggiore libertà e progresso, ciò che in realtà è un impoverimento e una restrizione della libertà stessa».

Avvenire (che ieri, con una bella pagina, ha fornito tutte le informazioni sull’iniziativa di oggi) denuncia il «ribaltamento di valore» che spazza via l’uomo e il giorno del Signore e «mette al centro la merce». Sacrosanto. Ma allora perché sostenere entusiasti questo governo e far accreditare perfino l’idea che esso segni il «ritorno alla politica» dei cattolici? Vorrei chiedere pure ai cosiddetti «ministri cattolici» Riccardi, Passera e Ornaghi: com’è stato possibile approvare entusiasticamente una tale assurdità? Perché una poltroncina val bene una messa? Speriamo di no. Ma se non è così si oppongano a questa norma. Si facciano sentire.

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31 dicembre 2011 6 31 /12 /dicembre /2011 13:08

 

"Convinciti , non ci saranno abbastanza consigli utili a questo mondo se non sei tu che hai il cambiamento in testa .

La ribellione nasce da te, convinciti e ostinati "

Vanna Le

 2012..

 

Speranza.jpg

 

Un anno di SPERANZA

 

 

Ciao a tutti . Queste mie righe vogliono essere un augurio a tutti voi per questo nuovo anno che stiamo per cominciare . Un augurio di un nuovo anno che possa essere di "Buone Cose " per ognuno di noi . Io mi ripeto sempre , che non c'è bisogno di grandi cose , di cose eccezzionali , ma basta vivere bene la quotidianità. Mi basterebbe questo . Invece tutto quello che ci viene ultimamente INCULCATO  dalla maggior parte dei mass media e tutt'altro che rassicurante. Non mi interessa tanto della Borsa se va giù o su , dello  Spread, dei Btp, dei Bund, Mi interessa se c'è lavoro sufficiente per ognuno di noi che ha famiglia e deve mandarla avanti , mi interessa se ci sono ancora un pochino di risorse per il sociale senza che si debba tagliare dove la gente ha più bisogno come nella chiusura per mancanza di fondi del nostro centro Diurno di Villa Sesso . Mi interessa del futuro che hanno davanti i nostri figli che dovrebbe essere fatto di Speranza , di Giustizia e Pace  come scrive il Papa nel messaggio per la 45 Giornata Mondiale per la Pace  .  Mi interessa la Pace nel Mondo . Mi interessa la libertà religiosa sul nostro pianeta dove purtroppo ultimamente è sempre più messa a dura prova da fatti di sangue che ne limitano la pratica . Come vedete ci sono si dei temi che mi interessano di grande respiro , ma sono i temi della nostra quotidianità.

Allora il mio augurio vuol essere di grande speranza per questo 2012 che stiamo iniziando . Speranza di vivere bene e semplicemente questi giorni che il Signore ci dona di vivere , si perchè ricordiamoci  che la vita che stiamo vivendo nel bene e nel male , la vita è un DONO  grande che il Signore ci regala .

 

Buon anno a tutti 

 

ciao dal vostro  Punzecchiatore Artemio

 

 

 

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29 dicembre 2011 4 29 /12 /dicembre /2011 07:59

 

Le facce care, il ronzio della lavatrice, il frigo pieno, questa cucina affollata di oggetti. E una via di Milano come tante. Marina Corradi ringrazia per «ciò che ho sempre visto, senza vederlo davvero»
di Marina Corradi
Tratto da Tempi del 23 dicembre 2011 5210copa.jpg

 

 

Come ormai tradizione, Tempi chiude l'anno con un numero monografico di Te Deum. Qui pubblichiamo quello della giornalista Marina Corradi, che appare sul numero 52 della nostra rivista, in edicola dal 29 dicembre.

Stamattina era domenica, e i ragazzi hanno dormito fino a quasi le dieci. Sono andata a svegliare la piccola. Era abbracciata a un gatto, sotto le coperte. Aveva ancora l’odore di quando era bambina: di Nutella, di biscotti. Ho annusato e profondamente inspirato. Le ho sfiorato una guancia, era morbida e calda. Una gratitudine si è allargata nei miei pensieri opachi del mattino: che meraviglia averla qui, da quattordici anni, così viva; ridente o pensierosa, o furibonda in una rissa coi fratelli; bella, e vanitosa davanti allo specchio, mentre verifica compiaciuta l’effetto del primo rimmel sulle sue lunghe ciglia nere.

Noi non ci accorgiamo, di solito, di ciò che abbiamo, di tutto ciò che ci si ripresenta fedele, che ci si schiera davanti agli occhi ogni mattina. Ma da un po’ di tempo mi succede di riconoscere la realtà quotidiana come qualcosa che mi genera una frazione di istante di gratitudine: “vedo”, attorno a me, questa casa, e una famiglia, e degli amici, e un lavoro. Generalmente accade dopo un lutto, o dopo una malattia, di accorgersi con stupefatto rammarico di tutto ciò che si aveva “prima”, e di cui non ci si era accorti. Invece senza che sia accaduto niente di questo, mi succede – non sempre, qualche volta – di riconoscere la realtà data, al mattino, e di esserne stranamente lieta. È, forse, perché invecchio?

Io mi ricordo, in certi vecchi che ho frequentato da bambina, questa attitudine a sapere essere contenti di una mattina di sole, o di un piatto fumante, a tavola, e del suo profumo. Come se ogni mattina gli occhi si aprissero per la prima volta; e ci si meravigliasse delle facce care, delle cose di casa che funzionano, docili, del fido ronzio della lavabiancheria e perfino di un banale frigorifero pieno – che sembra una ovvietà, e invece è anche lui un trascurato dono.

E dunque in quest’anno che corre verso la sua fine il mio Te Deum è per ciò che ho sempre visto, senza vederlo davvero; e per un nuovo sguardo, attento a ciò che fino ad ora mi sembrava dovuto (e casomai, se improvvisamente mancava, ragione di indignazione e protesta, come quando ci viene rubato ciò che ci spetta).

Grazie, dunque, per questa stanza in cui dormo, con gli scuri ancora chiusi nel primo mattino, e per il letto caldo; grazie per quella lama di luce chiara e di freddo tagliente che entrerà aprendo la finestra, insieme al fugace rosa del ciclamino sul balcone, così rosa e vivo, anche dopo la notte d’inverno.

Grazie per i passi dei figli che si vanno pigramente alzando in questa mattina festiva; e perché uno di loro canta svagato una canzone degli alpini, con una bella voce da baritono che piace a suo nonno, alpino sul Don, se dal cielo la sente. (Ma tu la senti, ne sono certa. E quante volte mi pare di sentirmi addosso i tuoi occhi, con quella espressione leggermente apprensiva che avevi quando mi salutavi, e io avevo vent’anni, e tu sembravi chiederti che cosa mi portavo nei pensieri. Ma non me lo domandavi, come non lo chiedo ora ai miei figli, in quel segreto tabù che sbarra il confine fra figli e genitori).

Grazie del figlio grande, del test all’università superato, e di come studia, nel fare ciò che gli piace davvero. Grazie di mio marito, a dire il vero un efferato metodico molestatore dei miei già fragili nervi; però chi altro si poteva accompagnare a una come me? Grazie perché c’è, perché resta, fedele.

Grazie di questa casa grande, ombrosa, caotica come in fondo a me piace – non sopportando la nudità cruda dell’ordine perfetto, o di certe cucine che vedo fotografate sui giornali, lindi acciai freddi come sale operatorie. Quanto amo invece questa nostra cucina larga, affollata di oggetti che non sappiamo più dove infilare, col grande crocefisso di legno che ci allarga sopra le sue braccia, generoso e direi, a volte, benignamente rassegnato. Grazie dei vicini e dei negozianti che saluto ogni mattina, nell’enclave cara e consueta che è una via di Milano come tante; e grazie di quel signore strano, vecchio, dimesso, che gira sempre con due grandi sporte pesanti per mano, e una volta gettando l’occhio ho scoperto che sono colme di vecchi giornali che lui, senza un motivo, trasporta avanti e indietro. Lo sconosciuto con le sporte colme di parole ingiallite sorride, quando lo saluto; e la sua disarmata follia mi intenerisce, e mi riecheggia qualcosa, quel suo girare sotto al peso di tante parole consumate. (Forse, questo mio lavoro?)

Grazie di avere un lavoro. Grazie del “bip” che fa il cartellino di riconoscimento, all’ingresso, ogni mattina, e dell’odore di carta stampata che il mio naso puntualmente registra entrando in redazione (mentre fra me cupamente borbotto: tutta la vita a scrivere parole). Grazie delle facce dei colleghi con cui ci intendiamo con pochi cenni, come operai che non abbiano bisogno di parlare, tanto usi sono ad avvitare, stringere, far marciare la macchina complessa che è un giornale. Grazie degli amici – soprattutto di quelli a cui puoi raccontare qualsiasi cosa.

Grazie anche del mio cane, mezzo sciacallo e mezzo volpe, bastardo da incalcolabili generazioni, a cui mi sono infantilmente, patologicamente legata; come avessi trovato in lui, cucciolo randagio in una piazza del Sud, una parte bambina di me, che non sapevo più di avere. Grazie dei nostri gatti, belli, fieri come enigmatiche sfingi e pasticcioni come bambini. (Malacoda, che perfidamente con la zampa in questo istante dondola l’arcangelo sospeso con un filo sul presepe; mentre sulla farina davanti alla grotta al mattino trovo sempre impronte feline, come di notturni silenziosi pellegrini). E grazie della attesa muta che aleggia su questo presepe casalingo, imperfetto, goffo, e ogni anno uguale. Senza questa attesa e dunque questa speranza, tutto – i figli, la famiglia, il lavoro – si rivelerebbe alla fine nient’altro che un po’ di cenere.

Ho ricevuto oggi da un amico un biglietto d’auguri: «L’incarnazione di Cristo – c’era scritto – è l’unica nostra speranza». So bene che molti alzerebbero le spalle: che integralismo, che esagerazione. Direbbero che il mondo è pieno di speranze, di solidarietà e di buona volontà. Già. Ma cosa te ne fai di tutto questo, se la morte può toglierci un figlio per sempre, se quelli che abbiamo amato ora sono nel nulla, e ce ne resta solo un ricordo che sbiadisce? A cosa serve tutto il nostro fare di fronte alla massa di sofferenza e miseria che si allarga sulla terra – che non reggeremmo, se la conoscessimo intera – se nessuno davvero è venuto a caricarsi e ad abbracciare e a riscattare tutto questo dolore?

Sì, forse è perché invecchio. È per questo che vado sfrondando le speranze, e me ne resta, davvero, solo una. Invecchiare, fra noi gente d’Occidente, è perdita, decadenza, nebbia che offusca i pensieri. E se fosse invece questo solo il destino del corpo, e l’uomo interiore con gli anni vedesse meglio, più lontano, oltre l’apparenza opaca delle cose? Se il tempo che passa fosse Dio che viene? Grazie, in questo anno che finisce, di un’altra in me che appena intravvedo, più attenta, e grata piuttosto che indignata; grazie anche del tempo che scorre, di quello scandire inflessibile delle ore, che da giovane mi sembrava una condanna. Ma, forse, non capivo. Forse, ora vedo meglio. Grazie, perché nello scoccare di questo nuovo anno non ho più, del tempo, come da ragazza, tanta inerme paura.

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27 dicembre 2011 2 27 /12 /dicembre /2011 08:05

 

di Antonio Socci
Tramite il sito Lo Straniero, il sito web ufficiale di Antonio Socci

 

In effetti è stato un sogno strano quello di stanotte. Lo ricordo benissimo in tutti i dettagli. Io mi trovavo solo, a un tavolino del bar davanti a Montecitorio, in un viavai di politici dai volti indecifrabili.

Sfogliavo quotidiani di banchieri che peroravano la causa di banchieri, fogli di industriali che sostenevano la causa di industriali e giornali di partito che sostenevano il proprio partito.

Tutto trascinato da fiumi di futilità, anche sull’incombente Natale. Niente di nuovo sotto il sole.

PAROLA DI PLATONE
Ubriacato da tanta noia e tristezza – sorseggiando un caffè – aprii un libro dove si riportava un passo del “Fedone” di Platone:

Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime difficoltà”.

Così esordiva il filosofo greco. Lui però, a differenza degli intellettuali di oggi, consigliava di “appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli argomenti umani e, con questo, come sopra una barca, tentare la traversata del mare (cioè della vita). A meno che” aggiungeva Platone con un’intuizione geniale “a meno che non si possa con maggiore agio e minore pericolo fare la traversata con qualche più solido trasporto, cioè con l’aiuto delle rivelata parola di un dio”.

Il mio maestro mi aveva entusiasmato tanti anni fa perché mi aveva mostrato che quella pagina era una folgorante profezia del cristianesimo.

Infatti a distanza di secoli, quasi in risposta a Platone, san Giovanni inizierà il suo Vangelo proprio con la notizia che quella navicella del dio era arrivata: “Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi”.

Nel sogno di stanotte però non provavo la meraviglia di un tempo. Ero sopraffatto da un sentimento di angoscia per l’oscurità dei tempi e anche per il dolore relativo a un bimbo piccolo che era gravemente ammalato.

A questo punto del sogno si è verificato di tutto.

IL SOGNO
Mi ha telefonato un amico, prete di una borgata romana. Con voce concitata mi ha detto che era accaduta una cosa straordinaria nelle campagne di Tor Vergata: sei ragazzi che giocavano a pallone in un campetto, si sono accorti di una forte luce che arrivava da alcune baracche lì vicine.

Si sono avvicinati: c’erano una giovane ragazza e un uomo dalla barba scura. Avevano un bambino appena nato. Sorridevano. Erano vestiti come Maria e Giuseppe nel presepe e, in effetti, erano proprio loro: Gesù era nato di nuovo, lì a Tor Vergata, in questo dicembre 2011.

I ragazzi stupiti e contenti erano poi andati a raccontare a tutti cos’era successo. Stava cominciando ad arrivare gente. Dopo poco ricevevo la telefonata di mia moglie che, anche lei con voce concitata, mi riferiva di aver portato lì il bambino malato.

Con una carezza del neonato Gesù era sparita la febbre a 40 che aveva da giorni e tutti i dolori. Lei piangeva e rideva di gioia mentre mi riferiva i fatti. Mi diceva che stava arrivando ancora gente e molti portavano malati, e continuavano a verificarsi guarigioni.

LE REAZIONI
Io strabiliato e commosso, nel sogno, mi mettevo a correre per portare la notizia in Vaticano. Ma lì un monsignore chiamò due marcantoni della gendarmeria sostenendo che c’era un pazzo pericoloso.

Arrivava pure un cardinale a cui riferivo i miracoli che stavano accadendo. E lui: “non dica idiozie, non esistono i miracoli!”.

Io gridavo che volevo parlare col papa, che lo conoscevo personalmente, ma il papa era inaccessibile, isolato, da giorni. Feci appena in tempo a scorgerlo a una finestra, invecchiato e triste.

Provai a sbracciarmi dal cortile perché volevo confortarlo con questa meravigliosa notizia, lui si accorse di me, ma subito qualcuno lo prese sottobraccio e lo allontanò dalla finestra.

Scappai di corsa per evitare i gendarmi. Andai allora alla redazione di quello che credevo un giornale cattolico. Ma non sembrarono interessati: erano occupati a rintuzzare i radicali sull’Ici della Chiesa e sull’otto per mille.

Restai perplesso, anche perché notai che alle pareti, al posto del crocifisso e della foto del Papa, c’erano altre due foto incorniciate: di Napolitano e di Monti.

In un baleno – come accade nei sogni – mi ritrovai sul viale per Tor Vergata.

LA CAPANNA…E IL FISCO
C’era tanta gente che andava a vedere questo evento.

Anche tre ragazze straniere, che si prostituivano sulla strada, sentita quella notizia, si misero in cammino, stando un po’ in disparte, intimidite.

Quando arrivai vidi che c’erano diversi poliziotti e alcuni funzionari del fisco che discutevano con la gente della zona e con il parroco.

Pretendevano di far pagare a tutti l’occupazione di suolo pubblico e l’Ici sulla prima capanna anche alla Sacra Famiglia.

Quando seppero chi erano dedussero che la prima capanna era a Betlemme, dunque quella era la seconda: tariffa superiore. E volevano tassare la prima come casa all’estero.

Poi cominciarono a sindacare sui doni che molti lasciavano al bambino, specialmente sui regali in denaro e infine, adocchiate le tre ragazze di strada che stavano in un angolo, a guardare commosse il bambino, chiesero loro se per caso facevano quel certo mestiere: così contestarono i loro guadagni in nero, non dichiarati e non tassati.

I SAPIENTONI
Il giorno dopo sui quotidiani i più noti intellettuali commentarono la notizia con sarcasmo e disprezzo: misero alla berlina i protagonisti di quell’episodio di “allucinazione collettiva” (così lo definirono).

La gente – sentenziarono i saputoni – era affetta da grave superstizione: le masse popolari erano state intossicate e suggestionate dalla televisione che in quei giorni – aggiunsero – aveva parlato troppo del Natale.

Intervennero anche famosi teologi o (sedicenti) specialisti di cose religiose che condannarono questo gretto “miracolismo” così poco spirituale e tanto fastidiosamente interessato a guarire dalle malattie.

Biasimarono il fatto che tutta quella gente si fosse precipitata alla baracca invece di andare ad ascoltare le loro dotte conferenze religiose e tuonarono: “è un relitto di medioevo che sarà bene dimenticare in fretta. Non è ammissibile, dopo il Concilio, che accadano queste cose”.

Anche dal Quirinale trapelò un certo disappunto e subito le firme giornalistiche più sensibili agli umori presidenziali criticarono il chiaro esempio di fanatismo riferendo che il Capo dello Stato avrebbe ufficiosamente commentato: “l’Italia è una e deve restare tale. Fatti di questo genere provocano divisione nel Paese in un momento in cui è necessaria la massima coesione nazionale”.

Addirittura dal Parlamento europeo e dalla Commissione di Bruxelles arrivarono condanne dell’evento, cioè della nascita di quel Bambino, giudicato un esempio di discriminazione nei confronti di credenti in altre religioni e un pericoloso incitamento alla procreazione mentre il pianeta – a loro dire – soffre di sovrappopolazione.

PUNIZIONI
Non mancarono di sollecitare provvedimenti punitivi nei confronti del parroco di quella borgata che – invece di stroncare sul nascere il “dissennato afflusso” di gente – aveva rilasciato interviste a tutte le tv riferendo i prodigi che aveva potuto vedere, fornendo i nomi e i recapiti di coloro che erano stati guariti.

Considerata la possibilità che l’Italia – ormai commissariata dalla Bce, dal Fmi e dall’Europa – venisse penalizzata da decisioni comunitarie derivanti da tale condanna per “intolleranza religiosa”, subito il governo fece passi formali presso la Curia che provvide a sospendere “a divinis” il parroco suddetto.

E la magistratura aprì un’indagine per “abuso della credulità popolare” ed “esercizio abusivo della professione medica”.

LA GIOIA DEI SEMPLICI
La gente semplice però era stupita di quello che aveva visto e i malati contenti di aver trovato chi li aveva sollevati dalle loro pene.

Per giorni continuarono a parlare dei fatti che si erano verificati davanti a loro. E tutti lodavano Dio che aveva avuto pietà di loro e ricordavano la tenerezza dello sguardo della Madre.

Fin qui il mio sogno. Ma voi pensate che sia stato solo un sogno?

*Sogno di Natale…. o no?

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  • : IL PUNZECCHIATORE
  • : ....oggi come oggi si tende a non esprimere pubblicamente le proprie idee per non urtare la sensibilità dell'altro,questo alla lunga può far perdere la propria identità ad un intera generazione. A.O
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