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23 maggio 2009 6 23 /05 /maggio /2009 00:13

 

Caro Diario

 

Volevo oggi raccontare una cosa che mi è capitata martedì e che mi da lo spunto per parlare di un argomento molto attuale quello degli extracomunitari.

Martedì mattina 19 maggio verso le  8,30 sono dal mio primo cliente della giornata , e mentre aspetto che mi dia retta ,visto che è anche edicola , do un’occhiata ai titoli dei giornali .Una sbirciata qua , una la , faccio il giro di tutto l’arco Costituzionale per capire come ognuno interpreta e scrive le varie notizie , e vi assicuro che è un esercizio interessante ma molto faticoso e soprattutto richiede molto tempo. Comunque alla fine mi soffermo sui giornali locali e mi balza all’occhio una notizia che sembra di routine ma che in me ha suscitato qualche domanda . La notizia era quella che  da alcuni controlli in un distributore in via Adua sono stati trovati tre extracomunitari  ( due dei quali sembrano irregolari ) che lavoravano in nero a 30 euro al giorno per dodici ore di lavoro . Una cosa fondamentale però è che il titolare è un Italiano . Il distributore e stato fatto chiudere in via precauzionale per ulteriori accertamenti .

Volevo far notare se vi è passato inosservato , quello che prendevano “in nero”  : 30 EURO  per 12 ore  cioè se sono ancora capace di fare due conti  2,50 euro l’ora !!!!!

Subito dopo aver letto la notizia , mi è venuto subito da commentare ad alta voce “ Cavolo …però il titolare del distributore era ITALIANO. Loro lavoravano in nero  ed erano irregolari , ma lui li sfruttava. Ci sono anche tra gli Italiani dei delinquenti.” . La mia cliente che ormai era rimasta sola con me , mi ha fulminato con uno sguardo che voleva già dir tutto sul suo pensiero. Io sapevo benissimo come la pensasse sull’argomento e mi aspettavo una rispostaccia che in sostanza io avevo stuzzicato. Invece ( forse a malincuore) mi ha detto che non tutti gli extracomunitari sono cattiva gente , anzi mi ha poi raccontato che in una casa che si affaccia nel suo cortile vive una signora Marrocchina  che  a quanto pare è stata  abbandonata dal marito e che ha due figli che cerca di far crescere nel migliore dei modi . Per portare avanti la famiglia lavora otto ore in una ditta di pulizie e poi  fa altre tre quattro ore a pulire da privati o uffici ( questi probabilmente in nero , ma è da condannare per questo?) . Capite che sforzo notevole pur di mandare avanti una famiglia . Poi ha anche aggiunto che anche i figli sono dei bravi bambini , educati ecc. Questo episodio mi ha fatto riflettere tanto su come noi ci lasciamo condizionare molto  dai mass media nel giudizio verso gli extracomunitari . Ora è di moda , la Lega in particolar modo ne sta facendo  un cavallo di battaglia per la campagna elettorale , giocando molto sull’emotività della gente. Non dico il problema non esista , anzi , ma a mio avviso va affrontato in modo diverso , ad esempio  con una grossa campagna di sollecitazione alla LEGALITA’ ( che forse farebbe molto bene anche a qualche Italiano). Ci sarebbe da dire molto e io non ho le competenze giuste , ma sono convinto che ci sarebbe da puntare molto su questi due argomenti : LEGALITA’ ed INTEGRAZIONE.

Volevo poi finire questo mio racconto in un modo un po’ particolare e lascio a voi il commento.

 

PARABOLA  MODERNA

“Viveva in quel periodo nella grande  terra fertile Emilia  un uomo che aveva un distributore , Quest’uomo aveva un gran  lavoro e si decise allora a prendere come aiuto alcuni viandanti di passaggio. Non ne conosceva  la provenienza e forse nemmeno il nome , l’unica cosa certa era che a fine giornata  venivano pagati . Non erano assunti regolarmente , ma a loro forse non importava molto , importava invece portare a casa quei 30 miseri  denari che gli permettevano di sopravvivere . Il  “povero “ benzinaio invece rischiava molto a far lavorare gente non in regola , ma alla fine della giornata  il suo gruzzoletto era sempre più grosso e certamente ne avrà anche abbastanza per pagare qualche avvocato che lo tolga dal pasticcio. Non è quasi più di moda raccontare fatti in Parabole , ma io volevo chiedere : Chi si è comportato meglio davanti al Signore , il benzinaio che se anche pagando poco (molto poco) evadendo le tasse  ha comunque fatto lavorare delle persone che avevano bisogno, o i tre viandanti che si sono prestati a tutte le condizioni pur di portare a casa quei trenta denari ? “ Caso strano , ci sono sempre di mezzo i 30 denari . A tutti voi che avrete il coraggio di leggere e la voglia di farvi interrogare da questo mio quesito , l’ardua sentenza.

Ciao  a tutti e buona Domenica                                                        Arte il Punzecchiatore

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13 maggio 2009 3 13 /05 /maggio /2009 07:39
Un po’ di gentilezza: un sorriso, uno sguardo di simpatia, una mano tesa. Coloro che faranno spontaneamente questi gesti, saranno i protagonisti di domani.
Bisogno di gentilezza
 - mar 12 mag
di Claudio Risé
Tratto da Il Mattino di Napoli del 11 maggio 2009
Tramite il blog di Claudio Risé

Nei discorsi pubblici su «cosa ci vorrebbe» si vola alto, si parla di bisogno di civiltà, umanità, accoglienza. Tutto vero naturalmente, ma a molti sembra spesso vago.

Le civiltà sono molte e diverse; le idee sull’«umano» anche; l’accoglienza forse dovrebbe essere reciproca, l’autoctono deve accogliere lo straniero, ma anche questo ultimo deve accogliere chi è già lì, le sue idee, norme e costumi.

C’è però un bisogno più semplice, elementare, condiviso da tutti: quello di gentilezza.

Basta ascoltare le vecchie canzoni, e confrontarle con gran parte dei rap di oggi, per capire che è in atto un indurimento dell’esistenza. La vita appare intrisa di un’aggressività esagerata, a volte caricaturale. Che i giovani per primi denunciano, anche se spesso proprio loro vi indulgono (come il gruppo tedesco di Kannibal Instinct). Anche i media, amplificando ogni cosa, danno però molto più spazio ai gesti di aggressività che a quelli di gentilezza.

Fin da prima della crisi, ormai da molti anni nessuno dice più a una donna: «Ti amo», oppure: «Buon compleanno!», comprandosi una pagina di quotidiano. Mentre giornali e televisioni divulgano e amplificano accuse coniugali, privatissimi retroscena sentimentali, notizie e commenti rancorosi, dove ogni gentilezza è assente.

La mancanza di gentilezza continua poi nei gesti quotidiani di tutti, nel fare la spesa, nel modo di rivolgersi al cliente, al venditore, al fornitore. Migliaia di durezze, di sguardi taglienti, di commenti secchi, hanno nel corso degli anni preso il posto dei sorrisi, delle battute cordiali, delle occhiate sorridenti. Gli italiani, grandi e apprezzati protagonisti del sorriso e della battuta, non sorridono quasi più, e negli incontri di ogni giorno si tengono molto sulle loro. I soldi non c’entrano: tutto ciò è cominciato in anni di benessere senza precedenti, e da allora non si è più arrestato.

Tanta durezza non è affatto naturale. Anche se la vita non è un’infinita festa da ballo, e anzi proprio per questo, ogni società si è sempre impegnata ad accompagnare i suoi riti e momenti sociali con forme e modi di scambio più piacevoli, e meno distruttivi possibile. L’essere umano non regge una vita quotidiana incessantemente competitiva, sgradevole, dove l’altro che incontri non solo non ti ama (non è suo compito), ma ti attacca. Non ce la fa.

Dietro la moltiplicazione di disagi come gli attacchi d’ansia, quelli di panico, le diverse forme di fobia sociale (i ragazzi che non escono dalla propria camera, gli adulti asserragliati nel proprio tinello, o nel locale-cantina degli attrezzi), c’è anche questo: la fatica di vivere una socialità ostile, non amichevole, diffidente e chiusa.

La modernità ricca e sviluppata deve porsi il problema di come recuperare la gentilezza quotidiana delle società più povere e tecnicamente arretrate che l’hanno preceduta. Si tratta di un’operazione ormai indispensabile. Non per superiori ragioni morali, o dettami politici, ma perché la socialità senza gentilezza non funziona, si inceppa, crea problemi (e costi, anche sociali) infiniti. Il tranviere perennemente arrabbiato (come quelli di molte grandi città), che riparte senza badare alla vecchietta che sta ancora scendendo, diffonde aggressività e malessere, anche se è sindacalmente tutelato. Altrettanto, naturalmente, vale per l’industriale o il politico arrogante che non si fa carico dei bisogni dei dipendenti, e dei cittadini. Basta poco.

Un po’ di gentilezza: un sorriso, uno sguardo di simpatia, una mano tesa. Coloro che faranno spontaneamente questi gesti, saranno i protagonisti di domani.

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28 aprile 2009 2 28 /04 /aprile /2009 07:41
Devo dire la verità , molte volte abbiamo parecchi pregiudizi sui rom , e ormai è  diventato un luogo comune dare addosso agli "zingari" senza però fermarci  a provare a vedere cosa  ci può essere dietro ad ogni storia . Non sono tutte uguali e questa storia ne  è la dimostrazione . A me ha fatto riflettere , non so a voi.
                                             ciao arte- il punzecchiatore


L’etnia non è un destino Riscossa da scuola e amicizia
 - lun 27 apr
La vicenda della giovane rom di Milano
di Davide Rondoni
Tratto da Avvenire del 25 aprile 2009

Schiavitù a Milano. Dove ci sono i negozi belli. Le fiere. Le belle borsette.

Schiavitù. A Milano c’è. Non è l’immagine usata da un sociologo. O da uno scrittore pessimista. No, è il verbale di un magistrato che ha arrestato per riduzione in schiavitù un numeroso clan familiare rom. Dovrebbe arrivarci in petto come una pugnalata. Tanto più se la vittima è una ragazza, ora di 19 anni, ma che negli anni scorsi è stata obbligata dal clan a cui appartiene a rubare. Schiavitù.

Niente di meno. Invece delle catene, su di lei botte e terrore. Che sono catene peggiori. Più vili. E più orrende, se possibile, quando vengono buttate addosso al corpo di una ragazza nata a Zagabria con l’unica colpa di essere rom, secondo l’accezione che di questa parola viene data, dal padre e dagli zii e dal cerchio dai parenti, con la connivenza della madre. Un cerchio che la teneva legata a quello che una ragazza come lei doveva fare, secondo loro. Come se tutti i rom dovessero per forza rubare, cosa che non è vera. Ma usata per rubare. Per fare quello che talora vediamo fare in giro nelle nostre città, nei negozi, nelle chiese, e anche negli ospedali.

Come se l’etnia fosse un destino. Ma lei in Germania dove era stata fino a qualche anno fa aveva avuto la possibilità di andare a scuola.

E non le andava invece che a Milano no, non poteva andare con gli altri ragazzi come lei a scuola, e doveva rubare. E allora la ragazza ha avuto la forza di rompere il cerchio denunciando tutto alla polizia. Che con discrezione e determinazione ha portato in fondo la faccenda. E ha arrestata questa famiglia di schiavisti. La scuola può fare anche questo. L’essere andata un po’ a scuola ha fatto in modo che questa ragazza immaginasse per sé un mondo diverso da quello che le stavano cucendo addosso gli schiavisti. La scuola può fare del bene anche senza fare chissà che. Così, solo imparando un po’ di cose, e facendo vedere ai ragazzi che nella vita si può migliorare. La scuola può fare molto anche senza accorgersene. Se ai ragazzi è permesso andarci. Se anche ai ragazzi che appartengono a questi gruppi etnici è permesso andare. È un bene dunque – anche per questi – che tra il nostro governo e l’Opera dei migranti stiano avanzando gli accordi per favorire gli inserimenti a scuola dei ragazzini rom in Italia. La scuola può fare molto anche senza fare cose speciali, essendo scuola e basta. Le cronache dicono che ad incoraggiare la ragazza al gesto che l’ha liberata dalla schiavitù è stata anche l’amicizia con un ragazzo italiano che cura un orto vicino al campo dove stava l’orrido clan.

Fa tenerezza e fa tremare questa storia di ragazzi. Sembrerebbe una scena da romanzo dell’ 800. Invece è oggi, è cronaca, è botte e catene, schiavitù vera. E riscossa vera.

L’amicizia e la scuola possono fare molto. La scuola da sola forse non può fare tutto. Per rompere la schiavitù ci vuole un amico. Ma la scuola offerta ai ragazzini è una grande risorsa. Sia per gli italiani che per quelli che lo possono diventare lasciandosi alle spalle antiche e nuove schiavitù. La vicenda della ragazzina che ha rotto le catene va raccontata nelle nostre scuole. E se la nostra televisione che si vorrebbe più alleata della scuola la raccontasse farebbe una cosa giusta, e bellissima.

La storia della ragazza che ha rotto le catene va raccontata nelle nostre classi. E in tv
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6 aprile 2009 1 06 /04 /aprile /2009 07:40
Ciao a tutti ,

credo che come ognuno di voi stamattina , mi sono alzato apprendendo una brutta notizia , quella del terremoto in Umbria . Le notizie sono ancora frammentarie ma parlano di diversi morti  ( al momento 13 accertati)  ma sicuramente saranno molti di più e spero vivamente di sbagliarmi . Cosa dire , davanti a queste cose io almeno rimango ammutolito , perplesso , amareggiato  pieno di commozzione e dolore  e pieno di domande . Una su tutte : ma dove è Dio quando succedono queste cose ?  La mia fede (poca ) davanti a tutto cio vacilla . L'unioca cosa che mi riesce da fare è PREGARE . 

CIAO   A TUTTI , CHE BRUTTA  GIORNATA.
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17 marzo 2009 2 17 /03 /marzo /2009 07:38







oggi per me è un gran giorno ,spengo 50 candeline.
Rinrazio il Signore di tutto quello che mi ha dato in questi 50 anni.
Per  la vita , per i miei genitori , per mia moglie , i miei figli,per la mia bellissima famiglia , i miei suoceri cognati
nipoti e tutti voi cari amici miei , tutti quelli che ho incontrato lungo la mia strada e che nella vita mi avete dato tanto.
Non potrò mai ringraziarvi abbastanza di quello che mi avete dato 
e mi darete. Grazie veramente a tutti.

                             ciao dal vostro punzecchiatore arte 

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8 marzo 2009 7 08 /03 /marzo /2009 15:00
La donna era in ospedale pestata dal marito. Le asportarono la milza. Sembrava potesse farcela. "Riuscirai a perdonargli?", le ha chiesto Lucia. "Se non gli perdono io, chi gli perdonerà?". Morì poco dopo, quasi all'improvviso. Rendo omaggio con questo intervento alle donne d'Africa, alle donne dei paesi dei Grandi Laghi, alle donne… Alle donne che risalivano dal lago alle sei del mattino, con la gerla già piena di sabbia bagnata, con cui riempire un fusto per una casa in costru-zione. Capaci di alzare la testa da sotto il peso e salutare con un largo sorriso. I primi spiccioli della giornata. Poi via, per i campi lontani dalla città, scalze, la gerla con la zappa sulle spalle. E magari anche l'ultimo nato, da deporre all'ombra, mentre si chinano sotto il sole a coltivare. Rendo omaggio alle donne al lavoro nei campi, spazio di libertà e creati-vità ove far crescere e moltiplicare la vita: che raccolgono e sbucciano la manioca, ne riempiono la cesta e tornano insieme liete camminando per chilometri sotto il sole delle due. E poi il fuoco da accendere, il cibo da preparare per tutti, il profumo che inonda l'aia e tutti che attendono da loro il cibo. E vederli mangiare tutti con gioia e orgoglio. E finalmente sedersi a mangiare, magari in cucina. Rendo omaggio alla loro intelligenza volta a proteggere la vita, al loro provvedere ad ogni cosa. Alle donne al mercato, finalmente sedute, che vendono il sovrappiù per procurare un poco di pesce, di sale, un vestito ai figli e magari anche qualcosa di bello per loro. Basta cosi poco perché facciano festa. Rendo omaggio alla loro bellezza luminosa, regale, ignorata, che la fatica spegne presto, ma solo in apparenza. Rendo omaggio a queste donne, che trovano il tempo per prendere il quader-no e andare a imparare a scrivere, e capire così che non è vero che sono meno intelligenti…; alla festa di leggere le prime parole, il libro del canti, la lettura in chiesa. Rendo omaggio a queste donne regine ad ogni maternità, che sanno chiamare Desiré (Desiderato) anche il nono figlio e che ricorrono ai metodi delle "nascite desiderabili" piuttosto per averli, i figli. Rendo omaggio alle donne morte nel dare la vita, con semplicità, come in un'avventura di cui sapevano da sempre il prezzo. Rendo omaggio a queste donne per le umiliazioni nascoste, i tradimenti subiti, le speranze deluse, la capacità di stare per amore dei figli. Per le volte che qualcuno ha detto loro che erano inferiori, serve, incapaci, per tutte le decisioni subite senza essere interpellate. Rendo omaggio a loro, soprattutto per questi lunghi anni di guerra, a loro che portano il peso dell'impresa quasi impossibile di nutrire la famiglia. Al coraggio delle loro riunioni clandestine in città, non in nome di chis-sà quali alternative politiche, ma dei loro figli e dei loro mariti resi merce di scarto dall'arruolamento forzato, dalla mancanza quotidiana di cibo. A loro che hanno per mesi rifiutato di mandarli a scuola. A loro che hanno marciato con il seno scoperto per dire l'inutilità del loro dare la vita, di fronte ai continui massacri. A loro che si sono vestite a lutto, che hanno scioperato da ogni attività, che vendono le merci in casa per non pagare al mercato la tassa dello "sforzo di guerra", la guerra contro il loro popolo. Rendo omaggio ai loro piedi che fanno chilometri e chilometri per trovare da qualche parte del cibo che costa meno, che accettano l'umiliazione di varcare la frontiera a comprare, tassato, un cibo prodotto nel loro paese, purché i figli mangino. Rendo omaggio alle loro mani callose che conoscono fin da piccole il lavo-ro, che sanno condividere con la vicina il niente che hanno. Rendo omaggio al loro grembo offeso da una guerra fatta contro di loro per uccidere il futuro di un popolo. Rendo omaggio alle donne spesso sciente-mente infettate di HIV come tecnica di guerra. Rendo omaggio alle ragazze umiliate alla stessa maniera mentre andavano all'acqua o al campo e di colpo diventate solo buone per la strada. A queste donne usate e umiliate. A quelle che hanno preferito morire atrocemente pur di non essere violate. Rendo omaggio alla loro capacità di danzare, malgrado tutto, alla nascita del figlio della vicina o negli incontri liturgici, ultimi spazi di liber-tà rimasti. Alla loro capacità di ridere mai del tutto spenta. Rendo omag-gio alla loro fede nel Dio quotidiano che lotta con loro e mediante loro per proteggere la vita, armata debole e enorme della vita contro gli eser-citi di morte. Rendo omaggio a Colui che le ha inventate per dire oggi che la vita si guadagna, si difende, si protegge con la vita. A questa eucaristia conti-nuamente da esse celebrata nella fatica di una vita data. Le loro storie, chi mai le racconterà? Ma da qualche parte, un libro è scritto, che cono-sce ogni loro passo. Non sono tutte sante. Ma conoscono che l'amore è fatica, I'amore fa male. Un messaggio, una scelta concreta? Accettare che l'amore ci faccia male, consumi il nostro tempo, la nostra vita, le nostre forze, la nostra pace. Accettare di essere tribolati per amore. Il resto sono parole, sentimentalismi, reality…"
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  • : IL PUNZECCHIATORE
  • : ....oggi come oggi si tende a non esprimere pubblicamente le proprie idee per non urtare la sensibilità dell'altro,questo alla lunga può far perdere la propria identità ad un intera generazione. A.O
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