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2 giugno 2012 6 02 /06 /giugno /2012 22:02

 

 

Un tu per cui vivere

sabato 2 giugno 2012

 

Un tu per cui vivere
Nessuno può vivere senza un amore personale, concreto. Senza un “tu” non si può vivere. Per questo la tragedia più grave della vita è la solitudine, intesa non solo come solitudine fisica, ma soprattutto come assenza di legami, come solitudine radicale. Anche il monaco anacoreta non è solo. Anche lui ha un tu per cui vivere, altrimenti impazzirebbe, diventerebbe un cuore di pietra. 

Purtroppo però c’è sempre la possibilità che il nostro rapporto con l’altro cerchi soltanto di colmare il proprio bisogno di affetto e finisca per essere un atto egoistico, narcisistico. Anche chi ha figli può rischiare di cercare nei propri figli il riempitivo della propria vita.

La conversione dell’amore è una questione che ci riguarda tutti. Tutta la nostra vita è un passaggio dall’invidia alla purità del cuore, dalla gelosia e dal possesso alla verginità, dall’ira e dalla violenza a uno sguardo sull’altro che sappia rispettarlo nella sua identità. Si tratta di verificare continuamente il nostro sguardo e il nostro cuore. È un itinerario che può essere più facile per uno e più difficile per un altro, ma ci riguarda tutti.

Sono chiamato ad accettare la sfida che l’altro mi propone. Egli non è semplicemente un tubo che posso riempire con le mie parole o con i miei servizi, ma è qualcuno che mi invita ad aprirmi al mistero che egli rappresenta. Sono chiamato a rispettarne l’individualità. Dio, attraverso di lui, vuole il cambiamento della mia vita. Quindi è tutt’altro che facile vivere con un altro. Ma se accettiamo la provocazione che è per la nostra vita, entriamo nell’avventura più bella dell’esistenza. 

Il bisogno dell’altro insito nella nostra natura è assolutamente evidente nelle dinamiche tra genitori e figli. Il “tu” del figlio è così profondamente necessario per i genitori, che essi sono disposti a sacrifici enormi, a ritmi e a fatiche che possono costare anche dolore. C’è un rapporto molto profondo tra l’amore e la fatica, l’amore e il dolore. Ma c’è un uomo, Dio che si è fatto uomo, che ha preso su di sé tutti i nostri dolori, tutte le nostre fatiche non per esonerarci da essi, ma per donare loro un senso. Se accettiamo di viverli con Lui, i nostri sacrifici sono la strada della salvezza, la nostra e quella delle nostre famiglie.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dimmi come vuoi che io sia per farti felice

Dimmi come vuoi che io sia per farti felice… così santa Gianna Beretta Molla ha parlato al suo sposo nel giorno del matrimonio. Ieri a Varese abbiamo avuto il piacere e la grande commozione di rileggere la vita della santa lombarda dialogando con i suoi tre figli, tutti presenti in sala.
Certo fa effetto sentire parole come quelle, che suonano perfino strane in un mondo come il nostro in cui tutto si gioca sulle rivendicazioni, sui diritti, sul pretendere dall’altro.
Quante volte abbiamo sentito “mio marito deve”, mia moglie DEVE, e così via. Ci siamo inquinati e abbiamo dimenticato che l’essenza dell’amore non è chiedere, ma dare, non è vantare diritti ma offrire, offrire tutto di noi stessi per scoprire che in tal modo ci si ritrova integralmente, che nulla di noi va perduto ma ci viene restituito migliorato, depurato.
Ho discretamente chiesto a una delle figlie della santa se mamma si inquietasse mai in casa, anche perché stavo pensando di essere un caso disperato. “Qualche volta sì”, mi ha risposto, confortando così le mie speranze di santità.
L’essenza della famiglia è proprio questa, un sottilissimo filo rosso che lega un uomo e una donna che si promettono amore per la vita. Un filo tanto resistente quanto fragile, un legame che può portare in cielo due sposi, trasferendo il loro amore da questo mondo direttamente all’altro mondo.
Gli sposi che amano in questa prospettiva sono capaci ancoro oggi di “cose dell’altro mondo” come accogliere figli disabili, oppure semplicemente il terzo, il quarto, il decimo, magari col conto corrente in rosso.
La sua forza ma anche la sua fragilità: quante troppe separazioni, quanti divorzi. E’ un legame sotto un attacco che non possiamo più trascurare. La relazione genitori – figli, la relazione di adozione e di affido, la relazione con gli anziani, con i disabili, la stessa vedovanza sono radicalmente condizionate nel loro successo integrale dalla qualità della relazione coniugale.
Vera e Stefano Zamagni, da lunga data sposi, genitori e nonni oltre che docenti universitari, ci hanno ricordato proprio questo: il lavoro non può mai entrare in conflitto con la famiglia, con la coniugalità. L’era contemporanea postula un necessario intervento di armonizzazione tra queste due realtà profondamente umane che per loro natura non sono in conflitto. Da sempre l’uomo e la donna collaborano per crescere e sostenere la loro unione. Solo negli ultimi centocinquant’anni vuote ideologie hanno postulato una contrapposizione tra famiglia e lavoro. Compito dei cristiani, e in particolare dei professionisti cristiani è mostrare una nuova armonia possibile tra lavoro e famiglia. In fondo – aggiungo io – sono i due comandamenti che Dio ha dato all’uomo quando è uscito dall’Eden per diffondersi su tutta la terra: andate e moltiplicatevi, e soggiogate la terra. Comandamenti dati non certo come punizione ma come via maestra per ritornare a Lui.
Sono convinto che occasioni come queste ci diano la possibilità di mostrare a questa generazione, affannosamente ripiegata su sé stessa dalla crisi, che è invece possibile amare. Imparare ad amare nella famiglia, per poi a ricaduta amare nel lavoro, nella vita di tutti i giorni, ovunque siamo.
La testimonianza del famoso calciatore dell’Inter Zanetti, sposato e padre di tre figli, profondamente credente e fedele al suo matrimonio anche in un mondo pieno di occasioni di ogni sorta come quello delle star, ci ha trasmesso la consapevolezza che abbiamo davvero una grande vocazione.
Questo messaggio di speranza vorrei raggiungesse tutte le coppie in crisi, gli sposi che stanno pensando di lasciarsi, di gettare la spugna. E’ vero che è difficile amare, che a volte costa caro, ma chi l’ha provato sa che ne vale sempre la pena. Coraggio!

Simone Pillon



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