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3 marzo 2009 2 03 /03 /marzo /2009 22:47

La solitudine di Papa Ratzinger

di Luigi Accattoli [03 marzo 2009]  ( da Liberal)

Caro direttore, questa è la settimana giusta per interrogarci sul domani di Papa Benedetto, dal momento che egli ora sosta per una settimana dall'incessante attività pubblica essendo impegnato negli Esercizi della Quaresima. Il suo domani è sovraffollato: sta preparando il viaggio in Terra Santa, riscrive daccapo l'enciclica sulla dottrina sociale, è impegnatissimo nel recupero dei lefebvriani. Si tratta di tre imprese coraggiose che affronta in solitaria con l'audacia di un Papa solista.

Lo chiamo «solista»  in omaggio alla sua passione per la musica ma anche perché a un Papa non si addice la qualifica di «solitario». Egli è spesso a tavola da solo e passa lunghe ore nella riflessione e nello studio. Nel Vaticano di oggi non c'è più, a fare da cuscinetto tra il Papa e la Curia, quella particolare corte polacca e amicale che caratterizzò il Pontificato di Papa Wojtyla e in parte l'aiutò a non avvertire la solitudine delle Supreme Chiavi. Dal punto di vista della giornata papale si è tornati al menage sobrio dell'ammissione di pochi amici qualificati, come fu per Paolo VI e all'amore per la riservatezza orante e pensante di Pio XII. Ovviamente a Benedetto XVI non manca l'accompagnamento curiale ma bisogna dire che egli - pur disponendo della più lunga esperienza di Curia che un Papa abbia mai accumulato da cardinale: ben 23 anni - non fa molto affidamento sull'apporto dei suoi collaboratori. Alla bisogna li convoca, ma le questioni che avverte come decisive tende ad affrontarle in prima persona.
 
 Venendo al dunque  possiamo affermare con sufficiente sicurezza che egli è davvero solo, come sentimento e come realtà, di fronte a quelle tre sfide che dicevamo all'inizio - la missione in Terra Santa, l'enciclica e i lefebvriani - come già scelse di essere solo negli anni passati, quando si trovò ad affrontare la questione dell'Islam, il dramma dei preti pedofili e quello - recentissimo - della negazione della Shoah. Si direbbe che in quei tre casi la solitudine istituzionale e psicologica nella quale si trovò a operare gli abbia giovato e c'è da augurargli che lo stesso avvenga con le nuove questioni che l'attendono dietro l'angolo.
Sappiamo con certezza che nessuno dei suoi collaboratori aveva letto la lectio  di Regensburg - in cui poneva senza cautele diplomatiche la questione della violenza nell'Islam - prima del giorno in cui la pronunciò, che era il 12 settembre 2006. In analoga solitudine egli ha solennemente affermato il maggio e il luglio scorsi, essendo in visita negli USA e in Australia, che «provava vergogna» per la controtestimonianza dei preti pedofili. Da solo ha maturato in gennaio la decisione di cancellare la scomunica dei quattro vescovi lefebvriani, trovandosi a far fronte in solitudine alla tempesta esterna e interna che ne è seguita.

 Intrepidamente solo  è stato infine nella scelta di fissare il viaggio in Terra Santa per la metà di maggio, facendolo annunciare mentre non c'era (e non c'è ancora) il nuovo governo in Israele, con i territori palestinesi allo sbando e una situazione più di guerra che di pace nell'intero Medio Oriente. Nessuno dubita che fosse un animoso - o addirittura un fegatoso - Papa Wojtyla, eppure non si azzardò a visitare la Terra Santa finchè non ebbe - nel 2000 - il via libera da un governo Barak perfettamente padrone della situazione e da un Arafat che si stava avviando, così tutti credevamo, alla proclamazione dello Stato palestinese.

 Ma un'audacia ancora  più grande è da scorgere nel proposito di pubblicare quanto prima - in primavera o in estate - un'enciclica sociale: era pronta già l'estate scorsa, ma ora il Papa la sta riscrivendo per tenere conto della crisi economica che va montando nel mondo. Qui in verità Benedetto non è solo, anzi il progetto dell'enciclica non era neanche suo in partenza, ma gli era venuto dalle sollecitazioni del preconclave e gli era stato poi riproposto dagli uffici di Curia per onorare il quarantennale della  Populorum progressio  di Paolo VI (1967). Il Papa teologo ha preso passione all'enciclica che andava preparando proprio con il profilarsi della crisi dell'economia. Che si stesse interrogando da teologo su quella crisi lo fece sapere il 6 ottobre scorso, in apertura del Sinodo dei vescovi, quando (commentando il Salmo 118: «La tua parola è stabile come il cielo») contrappose alla "stabilità" divina l'incertezza delle fortune fondate sul denaro: «Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente». È tornato sull'argomento giovedì scorso, conversando con i parroci di Roma e confidandosi sulla difficoltà in cui lo pone la messa a punto - nell'incertezza di tutte le cose - di un documento del magistero sociale. «Da molto tempo prepariamo un'enciclica su questi punti» ebbe a dire, confessando come sia «difficile» parlare di tale questione «con competenza» e insieme «con una grande consapevolezza etica».

 Il difficile sta nel  denunciare «con coraggio ma anche con concretezza» gli «errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane» e nell'indicare che cosa fare «in concreto» per «cambiare la situazione». Si tratta dunque nientemeno che di denunciare gli errori di un'economia fondata sulla «dominazione dell'egoismo» - altra sua espressione - e di indicare la strada per uscirne e di farlo oggi, mentre nessuno sa dove ci porterà la crisi e che mondo ne verrà! Mai il magistero sociale della Chiesa aveva corso un rischio così grande, di parlare in mezzo alla bufera. Lo corre un Papa che decide da solo e affronta grandi sfide senza retorica. Se si rimettesse ai consiglieri, lo dissuaderebbero dall'esporsi come il mese scorso provarono a trattenerlo dal viaggio in Terra Santa. Finora il suo metodo disarmato l'ha aiutato a segnare buoni punti su vari fronti. È il vantaggio del Papa solista che affronta spartiti inediti invitando i fedeli a pregare «perché non fugga davanti ai lupi», come ebbe a dire nella celebrazione di apertura del Pontificato.

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