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2 giugno 2013 7 02 /06 /giugno /2013 21:54

  

Papa Francesco: «C’è chi dice: “Cristo sì, la Chiesa no”.
 

 

Ma la Chiesa nasce da Cristo, è la famiglia di Dio»


«Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati»

Maggio 29, 2013 Redazione

 

«Complimenti per il vostro coraggio, sotto la pioggia, bravi!». Ha iniziato così papa Francesco questa mattina l’udienza generale, complimentandosi con i centomila fedeli in piazza per la loro pazienza e sopportazione, nonostante il tempo infelice.
Il pontefice ha ripreso il filo delle sue catechesi precedenti tornando a parlare della parabola del figliol prodigo: «Il figlio minore lascia la casa del padre, sperpera tutto e decide di tornare perché si rende conto di avere sbagliato, ma non si ritiene più degno di essere figlio e pensa di poter essere riaccolto come servo. Il padre invece gli corre incontro, lo abbraccia, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa. Questa parabola, come altre nel Vangelo, indica bene il disegno di Dio sull’umanità».

 

LA FAMIGLIA IN CUI SIAMO AMATI. Il Papa ha poi chiesto: «Qual è questo progetto di Dio? È fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma – come ci ha ricordato tante volte il papa Benedetto XVI – è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina. La stessa parola “Chiesa”, dal greco ekklesia, significa “convocazione”: Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dall’individualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia. E questa chiamata ha la sua origine nella stessa creazione. Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie. Ha chiamato Abramo ad essere padre di una moltitudine, ha scelto il popolo di Israele per stringere un’alleanza che abbracci tutte le genti, e ha inviato, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio perché il suo disegno di amore e di salvezza si realizzi in una nuova ed eterna alleanza con l’umanità intera. Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sé una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa. Da dove nasce allora la Chiesa? Nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù da cui escono sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo. Nella famiglia di Dio, nella Chiesa, la linfa vitale è l’amore di Dio che si concretizza nell’amare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati. Quando si manifesta la Chiesa? L’abbiamo celebrato due domeniche fa; si manifesta quando il dono dello Spirito Santo riempie il cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire e iniziare il cammino per annunciare il Vangelo, diffondere l’amore di Dio».

SEMPRE CI PERDONA. Papa Francesco ha quindi proseguito: «Ancora oggi qualcuno dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Ma quelli che dicono: “Io credo in Dio ma non nei preti”, eh?, si dice così: “Cristo sì, la Chiesa no”. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio – ha proseguito – la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati: anche il Papa ne ha, eh?, e ne ha tanti! Ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori troviamo la misericordia di Dio: Dio sempre perdona. Non dimenticate questo: Dio sempre perdona! E Lui ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono: “È bello, questo: che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche l’opportunità; l’umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella, che è la misericordia di Dio”».

COMUNITA’. Quindi ha invitato i fedeli a rivolgersi una domanda: «Quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l’amore di Dio che rinnova la sua vita? La fede è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa. Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio».




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30 maggio 2013 4 30 /05 /maggio /2013 22:34

Bergoglio, rivoluzionario a modo suo

I teologi della liberazione lo elogiano, ma tra lui e loro c'è un abisso. I progressisti lo arruolano, ma lui se ne tiene lontano. Il vero Francesco è molto diverso da quello che tanti immaginano

 

di Sandro Magister

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 ROMA, 16 maggio 2013 – In perdurante luna di miele con la pubblica opinione, papa Francesco s'è guadagnato anche l'elogio del più barricadiero dei teologi francescani, il brasiliano Leonardo Boff: "Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera".


Veramente, Boff ha lasciato da tempo il saio, si è sposato, e all'amore per Marx ha sostituito quello ecologista per madre terra e fratello sole. Ma è pur sempre il più famoso e citato dei teologi della liberazione.

Quando, appena tre giorni dopo la sua elezione a papa, Jorge Mario Bergoglio ha invocato "una Chiesa povera e per i poveri", la sua annessione nelle file dei rivoluzionari sembrava cosa fatta.

*

In realtà c'è un abisso tra la visione dei teologi latinoamericani della liberazione e la visione di questo papa argentino.

Bergoglio non è un prolifico autore di libri, ma quel che ha lasciato di scritto basta e avanza per capire che cosa ha in mente con quel suo insistito mescolarsi col "popolo".

La teologia della liberazione la conosce bene, la vide nascere e crescere anche tra i suoi confratelli gesuiti, ma con essa marcò sempre il suo disaccordo anche a costo di ritrovarsi isolato.

Suoi teologi di riferimento non erano Boff, né Gutierrez, né Sobrino, ma l'argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma "del popolo", centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.

Oggi Scannone, 81 anni, è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: "Dopo il crollo del 'socialismo reale' queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre".

Questa sentenza liquidatoria contro la teologia della liberazione Bergoglio l'ha infilata in uno dei suoi scritti più rivelatori: la prefazione a un libro sul futuro dell'America Latina che ha per autore il suo amico più stretto nella curia vaticana, l'uruguaiano Guzmán Carriquiry Lecour, segretario generale della pontificia commissione per l'America Latina, sposato con figli e nipoti, il laico di più alto grado in curia.

A giudizio di Bergoglio, il continente latinoamericano ha già conquistato un posto di "classe media" nell'ordine mondiale ed è destinato ad imporsi ancor più nei futuri scenari, ma è insidiato in ciò che ha di più proprio, la fede e la "saggezza cattolica" del suo popolo.

*

L'insidia più temibile egli la vede in ciò che chiama "progressismo adolescenziale", un entusiasmo per il progresso che in realtà si ritorce – dice – contro i popoli e le nazioni, contro la loro identità cattolica, "in stretto rapporto con una concezione dello Stato che è in larga misura un laicismo militante".

Domenica scorsa ha spezzato una lancia per la protezione giuridica dell'embrione, in Europa. A Buenos Aires non si dimentica la sua tenace opposizione contro le leggi per l'aborto libero e i matrimoni "gay".  Nel dilagare in tutto il mondo di simili leggi egli vede l'offensiva di "una concezione imperialista della globalizzazione", che "costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità".

È un'offensiva che per Bergoglio porta il segno dell'Anticristo, come in un romanzo che egli ama citare: "Il signore del mondo" di Robert H. Benson, un sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo un secolo fa.

Nelle sue omelie da papa, il frequentissimo rimando al diavolo non è un artificio retorico. Per papa Francesco il diavolo è più reale che mai, è "il principe di questo mondo" che Gesù ha sconfitto per sempre ma che ancora è libero di fare del male.

Ha ammonito in un'omelia di qualche giorno fa: "Il dialogo è necessario tra noi, per la pace. Ma con il principe di questo mondo non si può dialogare. Mai".

 

 

 

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3 maggio 2013 5 03 /05 /maggio /2013 23:13

 

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30 marzo 2013 6 30 /03 /marzo /2013 16:34

 

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TI HO TROVATO IN TANTI POSTI

(di Madre Teresa di Calcutta)

 

Ti ho trovato in tanti posti, Signore.
Ho sentito il battito del tuo cuore
Nella quiete perfetta dei campi,
Nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota,
Nell'unità di cuore e di mente
Di un'assemblea di persone che ti amano.
Ti ho trovato nella gioia,
Dove ti cerco e spesso ti trovo.

Ma sempre ti trovo nella sofferenza.
La sofferenza è come il rintocco della campana
Che chiama la sposa di Dio alla preghiera.

Signore, ti ho trovato nella terribile grandezza
Della sofferenza degli altri.
Ti ho visto nella sublime accettazione
E nell'inspiegabile gioia
Di coloro la cui vita è tormentata dal dolore.

Ma non sono riuscito a trovarti
Nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri.
Nella mia fatica
Ho lasciato passare inutilmente
Il dramma della tua passione redentrice,
E la vitalità gioiosa della tua Pasqua è soffocata
Dal grigiore della mia autocommiserazione.
Signore io credo. Ma tu aiuta la mia fede.

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28 marzo 2013 4 28 /03 /marzo /2013 23:11
I sacerdoti siani pastori in mezzo alla
 gente: così Papa Francesco nella
Messa del Crisma


Siate pastori in mezzo alla gente: è quanto ha affermato Papa Francesco stamani nell’omelia della Messa del Crisma presieduta nella Basilica di San Pietro. “Con gioia – ha esordito - celebro la prima Messa Crismale come Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con affetto, in particolare voi, cari sacerdoti, che oggi, come me, ricordate il giorno dell’Ordinazione".
“Le Letture e anche il Salmo – ha proseguito - ci parlano degli ‘Unti’: il Servo di Javhè di Isaia, il re Davide e Gesù nostro Signore. I tre hanno in comune che l’unzione che ricevono è destinata a ungere il popolo fedele di Dio di cui sono servitori; la loro unzione è per i poveri, per i prigionieri, per gli oppressi… Un’immagine molto bella di questo “essere per” del santo crisma è quella del Salmo 133: «È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste» (Sal 133,2). L’immagine dell’olio che si sparge, che scende dalla barba di Aronne fino all’orlo delle sue vesti sacre, è immagine dell’unzione sacerdotale che per mezzo dell’Unto giunge fino ai confini dell’universo rappresentato nelle vesti”.
Il Papa ha sottolineato che “le vesti sacre del Sommo Sacerdote sono ricche di simbolismi; uno di essi è quello dei nomi dei figli di Israele impressi sopra le pietre di onice che adornavano le spalle dell’efod dal quale proviene la nostra attuale casula: sei sopra la pietra della spalla destra e sei sopra quella della spalla sinistra (cfr Es 28, 6-14). Anche nel pettorale erano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele (cfr Es 28,21). Ciò significa che il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore. Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!”.
Poi ha aggiunto: “Dalla bellezza di quanto è liturgico, che non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato, passiamo adesso a guardare all’azione. L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido … e il cuore amaro”.
Ha quindi osservato che “il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo. Questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite, “le periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: “preghi per me, padre, perché ho questo problema”, “mi benedica padre”, “preghi per me”, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, supplica del Popolo di Dio”. 
“Quando siamo in questa relazione con Dio e con il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi – ha rilevato - allora siamo sacerdoti, mediatori tra Dio e gli uomini. Ciò che intendo sottolineare è che dobbiamo ravvivare sempre la grazia e intuire in ogni richiesta, a volte inopportuna, a volte puramente materiale o addirittura banale - ma lo è solo apparentemente - il desiderio della nostra gente di essere unta con l’olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo. Intuire e sentire, come sentì il Signore l’angoscia piena di speranza dell’emorroissa quando toccò il lembo del suo mantello. Questo momento di Gesù, in mezzo alla gente che lo circondava da tutti i lati, incarna tutta la bellezza di Aronne rivestito sacerdotalmente e con l’olio che scende sulle sue vesti. È una bellezza nascosta che risplende solo per quegli occhi pieni di fede della donna che soffriva perdite di sangue. Gli stessi discepoli – futuri sacerdoti – tuttavia non riescono a vedere, non comprendono: nella “periferia esistenziale” vedono solo la superficialità della moltitudine che si stringe da tutti i lati fino a soffocare Gesù (cfr Lc 8,42). Il Signore, al contrario, sente la forza dell’unzione divina che arriva ai bordi del suo mantello”.
Il Papa ha quindi detto: “Così bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. Non è precisamente nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore: i corsi di autoaiuto nella vita possono essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale, passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a coloro che non hanno niente di niente”.
“Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco – ha ancora affermato il Papa - non dico “niente” perché - Grazie a Dio - la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con l’”odore delle pecore”, che si senta quello, siate pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione - e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù”.
Poi l’esortazione ai fedeli: “Cari fedeli, siate vicini ai vostri sacerdoti con l’affetto e con la preghiera perché siano sempre Pastori secondo il cuore di Dio”.
Il Papa ha concluso: “Cari sacerdoti, Dio Padre rinnovi in noi lo Spirito di Santità con cui siamo stati unti, lo rinnovi nel nostro cuore in modo tale che l’unzione giunga a tutti, anche alle “periferie”, là dove il nostro popolo fedele più lo attende ed apprezza. La nostra gente ci senta discepoli del Signore, senta che siamo rivestiti dei loro nomi, che non cerchiamo altra identità; e possa ricevere attraverso le nostre parole e opere quest’olio di gioia che ci è venuto a portare Gesù, l’Unto. Amen”. 

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27 marzo 2013 3 27 /03 /marzo /2013 23:07

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Metti Francesco contro Benedetto: è azzerata la Chiesa

Autore: Saro, Luisella  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele  Fonte: CulturaCattolica.it
domenica 24 marzo 2013

«Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, o grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi”, e alle colline: “Copriteli!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?»
(Lc, 23, 29-31)
«… Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa cattolica…» Io sì, ci credo. I cristiani non recitano filastrocche, non dovrebbero. La loro professione di fede è impegno, promessa, parole che si fanno storia, cammino.
E dunque io allo Spirito Santo credo.
Se oggi ci fa dono di papa Francesco ed è ancora con noi il papa emerito Benedetto significa che i tempi sono duri. Che la barca di Pietro, la Chiesa, ha da fronteggiare la tempesta.
Faranno ironia, i vaticanisti dell’ultima ora, che dalle dimissioni di papa Ratzinger senza tregua e senza ritegno si sono scatenati nelle loro congetture. Prenderanno la frase al balzo e sosterranno che l’han sempre detto – loro – che c’è bisogno di collegialità; che un uomo da solo (che poi sarebbe il Vicario di Cristo in terra), da solo non ce la può fare; che due è meglio di uno, ma magari ce ne vorrebbero tre… eccetera.
Loro no, non credono allo Spirito Santo. Cosa vuoi che capiscano…
Io, invece, ho guardato e riguardato le immagini dell’incontro tra questi nostri due grandi papi e mentre guardavo ho ringraziato lo Spirito Santo. Lui sa quel che fa.
Che grazia, dicevo tra me, il papa emerito che con la preghiera sostiene e sosterrà la nostra guida, la nostra roccia. Che grazia vederli inginocchiati entrambi davanti alla Madonna, e implorare per noi tutti, per la Chiesa, la Sua materna protezione.
In ginocchio, mendicanti, hanno ricordato al mondo qual è la posizione davanti alla vita e alle sue difficoltà. E’ Cristo il centro del cosmo e della storia! Lui che ci salva, non noi!
Quanto poco hanno capito, allora, quelli che hanno raccontato un papa Ratzinger spaventato, arreso… O hanno ridotto papa Francesco alle sue scarpe nere, alla croce di ferro… O alla storpiatura pacifista-ecologista per cui chissà quante volte S. Francesco si è rivoltato nella tomba!
E’ il vizietto dei laicisti, questo: chiosare, glossare, interpretare. Censurare, anche, se la verità è scomoda.
E infatti, mica han dato rilievo al richiamo del Santo Padre sull’«altra» povertà: quella della «dittatura del relativismo». Più comodo insistere sul pauperismo materiale e sperare in un nuovo Che Guevara. Più comodo inventare fratture tra l’odierno pontefice e papa Ratzinger. Certo. Loro che non credono allo Spirito Santo (ma neanche alla Resurrezione di Cristo, ma neanche a un sacco di altre cose sostanziali…) vanno di pallottoliere. «Più uno meno uno uguale zero». Metti Francesco contro Benedetto e vien fuori zero. Azzerata la Chiesa.
Cosa pensate gli interessi, in effetti, del Cristianesimo, del cattolicesimo, del vecchio e del nuovo papa? Niente. Gliene fregasse qualcosa, guarderebbero e ascolterebbero per capire, per imparare. Invece no. Fanno la cronaca dell’incontro di ieri a Castel Gandolfo e poi dell’Angelus di oggi, e si fermano ai dettagli, alle quisquilie. Non vedono o non vogliono vedere la sostanza.
Saldi nella barca di Pietro, Francesco e prima di lui Benedetto ricordano al mondo di Chi sono segno. E’ Lui che rappresentano, qui in Terra. Le parole dei papi, le parole della Chiesa sono le Sue e sono le stesse da duemila anni. Sulla vita e sulla morte; sul valore e la dignità della persona, perché siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio; sul matrimonio tra uomo e donna; sulla famiglia…
Ma un Cristo così non piace. Papi così non piacciono. Una Chiesa che continua incessantemente ad insegnare questo non piace. «E’ rimasta indietro di duecento anni», ha detto qualcuno e gli han fatto eco in tanti. Son quelli – anche tra i cattolici (?) – che vorrebbero sentirla parlare le parole del mondo. E’ la stessa accusa che è stata mossa a Cristo davanti a Pilato. «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui» (Lc, 23, 5). «Crucifige! Crucifige!». Nulla è cambiato.
Guardavo l’incontro a Castel Gandolfo e ho ringraziato lo Spirito Santo. Lui sa quel che fa. 
Il mare è in tempesta, e «se si tratta così il legno verde…» è questo, io credo, il tempo di cui parla il Vangelo. Ma al timone c’è Cristo, il Risorto. Di chi avremo paura?
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27 marzo 2013 3 27 /03 /marzo /2013 00:01

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LA GRANDEZZA  DI DUE  UOMINI VESTITI DI BIANCO  

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25 marzo 2013 1 25 /03 /marzo /2013 07:32

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24 marzo 2013 7 24 /03 /marzo /2013 15:28

 

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22 marzo 2013 5 22 /03 /marzo /2013 14:50

"Mea maxima culpa", la

 

menzogna

 

sbarca al  cinema

di Massimo Introvigne21-03-2013

 

Con grande fanfara arriva in Italia il film americano del 2012 «Mea Maxima Culpa – Silenzio nella casa di Dio» del regista statunitense Alex Gibney. 
Premetto di avere visto la versione originale in lingua inglese: non escludo che – com’è accaduto altre volte – il doppiaggio italiano aggiunga altre imprecisioni. Ma anche l’originale di questa nuova macchina da guerra contro la Chiesa contiene un numero impressionante di bugie. Si resta davvero sconcertati quando si vede la protervia con cui menzogne smentite decine di volte sono riproposte tranquillamente, ignorando documenti e fatti.

 

Come altre produzioni in materia di preti pedofili – dal film «Deliver Us from Evil» (2006) della regista Amy Berg al documentario «Sex Crimes and the Vatican» (2006) dell’attivista omosessuale ed ex-parlamentare irlandese Colm O’Gorman, a suo tempo proposto da Santoro in «Annozero» – il film propone uno schema in tre passaggi. 
Nel primo si mostrano, con immagini e testimonianze sconvolgenti che non possono che provocare l’ira e il disgusto dello spettatore, le nefandezze dei sacerdoti pedofili. Nel secondo si «dirottano» il disgusto e l’ira dal prete pedofilo di turno ai vescovi che l’avrebbero protetto. Nel terzo passaggio l’ira, così canalizzata, è indirizzata verso il destinatario ultimo: la Santa Sede e i Papi beato Giovanni Paolo II (1920-2005) e Benedetto XVI.


I tre passaggi non sono evidentemente sullo stesso piano. Il primo in «Mea Maxima Culpa» ha sequenze tecnicamente ben fatte, e ci mette di fronte anzitutto a un caso vero e tragico, che fa da filo conduttore a tutto il film. Si tratta della vicenda di don Lawrence Murphy (1925-1998), accusato di abusi particolarmente disgustosi, durati per vent’anni, in un collegio per minorenni sordi, la St. John School a Saint Francis, nel Wisconsin. 


Non dobbiamo avere paura di riconoscerlo, ed è stato un insegnamento sistematico di Benedetto XVI: i preti pedofili esistono. Se anche ce ne fosse stato uno solo nella Chiesa, sarebbe stato uno di troppo. Ma sono stati molti di più: non migliaia, come vorrebbe la propaganda anti-cattolica, ma centinaia. I loro crimini sono una gravissima vergogna, uno scandalo, un’offesa inaudita. Molte volte a nome della Chiesa l’attuale Pontefice emerito ha chiesto perdono alle vittime. Ha anche messo in opera misure severissime, che hanno fatto sì che i casi siano molto diminuiti. Ma accettiamo anche da avversari della Chiesa il servizio che ci rendono, impedendoci di dimenticare che casi come quelli di don Murphy si sono purtroppo davvero verificati.


Sul secondo passaggio il film comincia a svelare la sua agenda. Ci dice che la sua diocesi, quella di Milwaukee, ha coperto per anni don Murphy. Chi lo afferma? Qui sfilano i soliti sospetti, la compagnia di giro dei professionisti dell’anti-pedofilia, molti dei quali sono già noti ai nostri lettori. 
Si va da esponenti dello SNAP, l’associazione di sostegno alle vittime degli abusi di cui «La Nuova Bussola Quotidiana» ha svelato il 9 marzo qualche segreto non proprio encomiabile, all’avvocato miliardario Jeff Anderson, che si è arricchito dedicandosi praticamente a tempo pieno alle cause dove chiede risarcimenti strabilianti – che finiscono in buona parte nelle sue tasche – alla Chiesa.


Il film riporta compiaciuto che oltre cinquecento cause hanno portato nelle casse di Anderson e di pochi altri come lui due miliardi di dollari. Ritroviamo il sacerdote domenicano ultra-progressista Tom Doyle, attivissimo nel testimoniare a pagamento per Anderson e che il film presenta come un paladino dei veri interessi della Chiesa mentre ha pubblicamente dichiarato nel 2012 che ormai «non ha più niente a che fare con la Chiesa» e che le sue credenze «sono più o meno quanto di più lontano dal Vaticano potete immaginare».


Non mancano la giornalista del «New York Times» Laurie Goodstein, che ha trasformato il quotidiano americano in un megafono di Anderson e dello SNAP, e l’ex-benedettino, ora sposato, Richard Sipe, che spiega sapientemente come gli insegnamenti della Chiesa su eucarestia e confessione siano «eresie». 

 
Si aggiungono, per un tocco internazionale, il già citato Colm O’Gorman, l’ex-parlamentare radicale italiano Maurizio Turco – noto per avere chiesto l’incriminazione di Papa Benedetto XVI per crimini contro l’umanità – e il vaticanista de «Il Fatto Quotidiano», Marco Politi, che porta anche una nota di colore al film attaccando la Chiesa con una curiosissima pronuncia inglese all’amatriciana. In questo inglese improbabile, ci spiega che il problema dei preti pedofili è antichissimo e che già «un concilio spagnolo del IV secolo» lo aveva rilevato. Politi allude ai canoni 12 e 71 del Concilio di Elvira, che però trattano di rapporti sessuali con minori – purtroppo comuni nell’antichità romana – senza fare riferimento ai preti, di cui è invece sanzionata l’immoralità sessuale, senza allusioni alla pedofilia. Utilizzare il Concilio di Elvira per sostenere che la Chiesa ha a che fare con i preti pedofili e li copre «da 1.700 anni» è semplicemente ridicolo.


Per sfortuna dei professionisti dell’anti-pedofilia, il caso Murphy è stato studiato a fondo e da anni, e i documenti raccontano una storia diversa dalla loro. Le denunzie precedenti al 1973 erano così vaghe da non giustificare nessuna azione. Nel 1973 alcune vittime iniziano a rompere davvero il silenzio. Nel 1974 incontrano l’allora arcivescovo di Milwaukee mons. William Edward Cousins (1902-1988). 

 
Il film ci racconta che Cousins, dopo questo incontro, «non fece nulla». È una bugia. L’incontro con le vittime si svolse il 4 maggio 1974. Già il successivo 18 maggio il giornale diocesano riportava che don Murphy era stato sollevato da ogni incarico pastorale e d’insegnamento agli studenti della scuola St. John’s. A settembre, lasciò la scuola – certo, come mostra il film con immagini dell’epoca, calorosamente ringraziato da una parte degli studenti che nulla sapevano degli abusi. Da allora, per venticinque anni visse a casa sua a Boulder Junction, nel Wisconsin, a oltre trecento chilometri dalla St. John’s, e non ricevette fino alla morte alcun ulteriore incarico pastorale.


Il film afferma che fu «assegnato» alla parrocchia di Boulder Junction. Altra bugia: è vero che nei primi anni alcuni parroci della zona lo chiamarono a celebrare Messa, ma lo fecero ignorando che era stato autorizzato dalla sua arcidiocesi, Milwaukee, a celebrare solo privatamente. 
Il film ammette che la polizia, cui una vittima si era rivolta, rimase inattiva, e che la magistratura locale – dopo un’inchiesta sommaria e una visita alla scuola – archiviò il caso. Afferma che lo fece perché era scattata la prescrizione – il che è molto dubbio – e perché «i magistrati erano cattolici», un’accusa curiosa dal momento che magistrati cattolici hanno incriminato preti pedofili in tutti gli Stati Uniti.


Soprattutto, il film si dimentica di dire che la stessa arcidiocesi si rivolse alla magistratura: e la dimenticanza deriva dal fatto che – fra tanti testimoni – il regista Gibney si è «dimenticato» di consultare padre Thomas Brundage, pure citato nel film, che seguì tutto il caso come responsabile del tribunale ecclesiastico di Milwaukee e la cui testimonianza cruciale è stata completamente ignorata.


Certamente la Chiesa nel 1974 era meno consapevole di oggi della gravità dello scandalo dei preti pedofili. Tuttavia, non è vero che l’arcivescovo Cousins «non fece nulla»: al contrario, si mosse rapidamente per mettere don Murphy in condizione di non nuocere. Quanto alle responsabilità penali del sacerdote, non fu la Chiesa a proteggerlo dalla magistratura ma fu la magistratura – sbagliando, ma non per colpa dell’arcivescovo – ad archiviare le denunce senza approfondirle.


Veniamo al terzo passaggio. Il film racconta come negli anni dal 1996 al 1998 don Murphy sia stato protetto nientemeno che dal cardinale Ratzinger e dall’allora cardinale Bertone che, in qualità rispettivamente di prefetto e segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, non diedero seguito a denunce arrivate a Roma da Milwaukee. 

 
Intervista l’impresentabile ex-arcivescovo di Milwaukee Rembert George Weakland O.S.B., caduto in disgrazia dopo che è emerso il suo uso di 450.000 dollari tratti dalle casse dell’arcidiocesi per pagare un amante omosessuale che lo stava ricattando.


Weakland non solo è tradito dalla sua memoria quando afferma che i tempi di prescrizione del crimine di abusi sono più brevi nel diritto canonico rispetto al diritto civile – è il contrario – ma afferma, «pro domo sua», che portò il caso a Roma e che il cardinale Ratzinger e l’allora mons. Bertone si mossero con grande lentezza permettendo a Murphy di morire nel 1998 senza essere stato adeguatamente punito. Mons. Weakland e il film ripetono menzogne che sono state già smascherate nel 2010, quando la bufala fu lanciata dalla Goodstein sul «New York Times» per attaccare Benedetto XVI, da un’esemplare inchiesta dell’attuale direttore de «La Nuova Bussola Quotidiana» Riccardo Cascioli, il quale ricostruì il comportamento della Congregazione per la Dottrina della Fede nel caso Murphy nei più minuti particolari, tutti sostenuti da documenti.


Dall’inchiesta di Cascioli emergeva che il caso di don Murphy era di competenza di Milwaukee, non di Roma, ma che Roma – in persona dell’allora monsignor Bertone – non si disinteressò affatto della vicenda né incitò a insabbiarla, fornendo precisazioni quanto alla procedura che permettesse di sanzionare in modo conforme al diritto canonico un sacerdote, che era peraltro moribondo, in relazione a fatti che risalivano a oltre vent’anni prima.


Ma è evidente che i de

ttagli precisi non interessano ai professionisti dell’anti-pedofilia. Lo scopo è attaccare Benedetto XVI, già prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede di cui si spiega che «era un tempo chiamata Inquisizione», mostrando al riguardo la solita litografia illuminista settecentesca dove si vede una donna, nuda e con gli obbligatori seni ben esposti, torturata dall’Inquisizione con le sue macchine diaboliche. Certo, il film cerca di presentarsi come obiettivo riconoscendo gli sforzi di Benedetto XVI per arginare la piaga dei preti pedofili. Ma si afferma – contro l’evidenza dei fatti – che non hanno avuto alcun successo.


Se il caso Murphy offre l’impalcatura su cui si costruisce tutto il film, si menzionano anche altri episodi. Colpisce che non si tratti mai di casi recenti, a riprova del fatto che davvero le misure di Benedetto XVI hanno ridotto in modo molto significativo il fenomeno, precisamente quello che il film cerca di negare. 

 
Il primo caso evocato è quello dell’Irlanda, dove in relazione agli abusi di don Tony Walsh si evoca come «il documento misterioso» la lettera del 1997 in cui l’allora nunzio apostolico in Irlanda mons. Luciano Storero (1926-2000) comunicava ai vescovi irlandesi le «serie riserve» della Congregazione del Clero su un documento preparato da una commissione di esperti nel 1995 in cui tra l’altro si stabiliva l’obbligo per i vescovi di denunciare immediatamente alle autorità civili ogni notizia o voce di abusi di cui fossero venuti a conoscenza.


La pubblicazione della lettera provocò nel 2011 una crisi diplomatica fra Irlanda e Santa Sede, di cui ci occupammo su «La Bussola Quotidiana», dando conto della dettagliata risposta della Segreteria di Stato. 

 
Nel 1997 l’obbligo di denuncia immediata di possibili abusi – non solo per i vescovi ma anche per i medici, i dirigenti scolastici e altri – non esisteva nel diritto dell’Irlanda, che sarebbe cambiato sul punto solo nel 1999. Se i vescovi, prima di qualunque indagine e sulla base magari di una semplice accusa malevola o isolata, avessero denunciato immediatamente i propri preti alla polizia non solo avrebbero agito in modo moralmente discutibile ma avrebbero violato la legge dello Stato irlandese dell’epoca, esponendosi ad azioni penali per calunnia e civili per il risarcimento del danno agli accusati che poi fossero risultati innocenti. Nulla di tutto questo emerge nel film: la lettera Storero è presentata come la «pistola fumante», la prova della volontà della Chiesa di proteggere i pedofili a tutti i costi.


Viene poi il caso di padre Marcial Maciel (1920-2008), il fondatore dei Legionari di Cristo di cui si ricostruiscono la doppia vita, i figli illegittimi e gli abusi omosessuali ed eterosessuali. Il riferimento nel film offre l’occasione di una precisazione. 

 
Senz’altro qualche difensore di «Mea Maxima Culpa», che dà voce ancora una volta al giornalista ostilissimo alla Santa Sede Jason Berry, mi ricorderà che a suo tempo scrissi una recensione molto critica del libro di Berry, in cui mostravo di credere alle proteste d’innocenza di Maciel, convinzione che confermai in una successiva breve nota all’inizio dell’indagine vaticana, auspicando che tutto potesse essere chiarito.


Non ho nessuna difficoltà a confessare di essermi sbagliato. Come molti altri, vedevo i buoni frutti della congregazione dei Legionari di Cristo e avevo difficoltà a convincermi che potessero venire da una radice perversa. Sapevo anche che il beato Giovanni Paolo II – come il film non manca di ricordare – credeva all’innocenza di padre Maciel. Avevo torto io, e aveva ragione il cardinale Ratzinger che invece fin dall’inizio riteneva colpevole il fondatore dei Legionari di Cristo. 

 
Mi è già capitato di fare ammenda – in pubblico, con una lettera letta al congresso dell’International Cultic Studies Association tenuto a Montreal nel 2012 – per una posizione sbagliata che può avere arrecato dolore ad autentiche vittime dei crimini di padre Maciel.


L’occasione è però favorevole per precisare che il fatto che Maciel fosse colpevole non rende vere le affermazioni del libro di Berry che attaccano la Chiesa in genere, per esempio con autentiche castronerie su come procedono i tribunali ecclesiastici nei casi di annullamento di matrimoni. Maciel è colpevole, ma le castronerie restano tali. E ha torto anche Politi quando afferma nel film che quello di Maciel è «un caso di scuola» in materia di preti pedofili. No, non lo è. È un «mistero», come ebbe a dire Benedetto XVI. Non ci sono altri casi di fondatori di ordini religiosi, con frutti splendidi, colpevoli di comportamenti non solo immorali, ma criminali.


Politi sostiene anche che in Italia ci sono «migliaia di casi di abusi sessuali nascosti dalla Chiesa». Ma deve avere qualche problema con i numeri, perché i casi segnalati ai tribunali italiani sono al massimo un’ottantina. Certo, ci sono episodi reali come quello dell’Istituto Provolo per sordi a Verona. Ma – affidandosi ad anti-clericali fanatici come Maurizio Turco – il film ci mostra sequenze a effetto senza dire che la Chiesa italiana si è mossa affidando un’esemplare inchiesta indipendente a un magistrato, il dottor Mario Sannite, che ha portato a sanzioni della Santa Sede contro un sacerdote e a ulteriori indagini su altri tre. L’indagine ha però anche giudicato fantastiche e infondate le accuse di Gianni Bisoli, che afferma di essere stato fra gli abusati, contro ben ventinove religiosi e contro l’allora vescovo di Verona, il servo di Dio mons. Giuseppe Carraro (1899-1980), di cui dopo il rapporto Sannite è ripreso il processo di beatificazione.

Ripetiamolo ancora una volta: quella dei preti pedofili è una tragedia tremenda e ingiustificabile. Ci sono stati preti criminali, e vescovi gravemente negligenti. Benedetto XVI ci ha mostrato come affrontare questa piaga, senza alcun negazionismo. Ma il film «Mea Maxima Culpa» non è un reportage obiettivo dalla parte delle vittime. Mira al bersaglio grosso, alla Chiesa. Si apre con l’ex-benedettino Sipe che afferma che metà dei preti è infedele al celibato – sarebbe interessante sapere da dove trae questi dati – e che il sistema del celibato «produce e protegge i pedofili». 
Un’affermazione cui potrei replicare ricordando che ci sono più pedofili fra i maestri di scuola americani e fra alcuni gruppi di pastori protestanti, che non hanno il celibato, che tra i preti. Ma mi piace rispondere con parole del cardinale Bergoglio, oggi Papa Francesco, nel suo libro-intervista «Il gesuita»: «Se c’è un prete pedofilo è perché porta in sé la perversione prima di essere ordinato. E sopprimere il celibato non  curerebbe tale perversione. O la si ha o non la si ha». 


E il film si conclude con la saga dell’avvocato Anderson, una figura davvero sgradevole quando assapora i «fiumi di denaro» che la Chiesa ancora nasconde e che spera evidentemente di veder confluire nelle sue capaci tasche, il quale ha cercato di coinvolgere nelle cause statunitensi Benedetto XVI e la Santa Sede, facendosi peraltro dare torto dai tribunali americani. Ma questo è avvenuto – spiega Geoffrey Robertson, presentato semplicemente come «avvocato specializzato in diritti umani», senza precisare che è anche un infaticabile propagandista dell’ateismo – perché il Papa è protetto dall’essere il capo di uno Stato, il Vaticano. 
La Chiesa acquistò uno Stato, spiega Robertson, a causa di un patto fra Benito Mussolini (1883-1945) – il film commenta con  la musica di «Giovinezza» e facendo vedere un’immagine del Duce insieme ad Adolf Hitler (1889-1945), che non c’entra nulla ma evoca sempre emozioni forti – e Pio XI (1857-1939). Quest’ultimo era un sostenitore acritico del fascismo, spiega Robertson – che non deve avere mai sentito parlare dell’enciclica del 1931 «Non abbiamo bisogno» –: «la Chiesa sostenne il fascismo e in cambio fu creato un suo Stato, il Vaticano».  


Qualcuno spieghi a Robertson un po’ di storia: lo Stato della Chiesa si forma fra il VI e il IX secolo, un po’ prima di Mussolini. Ma Robertson, da bravo inglese, ha trovato la prova definitiva che il Vaticano non è un vero Stato: «non c’è una squadra di calcio». Non è vero neanche questo: esistono per i dipendenti dei dicasteri vaticani un campionato vaticano di calcio, una coppa e perfino una supercoppa tra chi ha vinto rispettivamente la coppa e il campionato – tornei da non confondersi con la «Clericus Cup», cui partecipano seminaristi dei collegi romani che non sono però cittadini vaticani. Forse la prossima finale della supercoppa vaticana potrebbe essere arbitrata da Robertson. Come altri che si esibiscono nel film «Mea Maxima Culpa», si ha infatti l’impressione che capisca più di sport che di religione.

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